Questo per ora è un post vintage nel mio miglior stile sconclusionato, dedicato a un anniversario significativo, quando troverò le foto diventerà #unviaggiovintage. Work in progress e soprattutto Stay tuned!

Lunedì quattro marzo 1985, trent’anni fa, tornavo da Londra, il mio primo viaggio in aereo. All’estero ero già stata, in Iugoslavia in roulotte con i miei, ma Londra e l’aereo era, ed è, altro. Per tutta la bellissima intensa settimana in giro ho visto due faccioni ritratti da vicino, in bianco e nero, che presentavano un disco appena uscito. Non mi dicevano molto ma, appena rientrata, Songs from the Big Chair dei Tears for Fears è stato un disco che mi ha accompagnato per mesi, tutto bello per i miei quindici anni, ed evocativo pur avendolo ascoltato poco nel soggiorno londinese, una scoperta anche dal punto di vista musicale.

tff

Lunedì venticinque febbraio, una settimana prima, l’aereo Venezia – Londra Gatwick era partito da una pista circondata da mucchi di neve. Ricordiamo tuttora quell’anno come uno dei più freddi, con neve alta anche nella pianura padana. Pure la pista di Gatwick era innevata tutto attorno e la città aveva neve fresca ai bordi delle strade, un evento speciale per i londinesi non abituati a un clima tanto rigido.

Io avevo già una canzone in testa, e non vedevo l’ora di andare al Victoria Embankment. Che felicità passeggiare accanto al Tamigi e pensare che Howard Jones c’era passato poco prima per girare il video di Things Can Only Get Better. Lui era carino ma il suo successo non durò a lungo, mentre i TFF scrissero ancora delle belle canzoni. La musica era ovunque, per strada e nei locali, nelle insegne luminose e nei cartelloni, come quello già citato coi faccioni di Kurt Smith e Roland Orzabal. In discoteca, l’Empire di Leicester Square, trascorsi un lungo sabato sera, un bel ricordo ma non il più vivo di quella settimana.

La New Wave era una musica per tutti, ruffiana e commerciale, ma con canzoni sempre belle di fronte alle quali anche le più amate canzoni italiane scomparivano, per un’anglofila come me e per tanti altri, nati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. Amici per nulla affini all’apprendimento delle lingue utilizzarono la musica come scusa per imparare l’inglese, spesso con buoni risultati, come solo la passione può produrre. C’era Deejay Television, appena nata, che all’ora di pranzo a un certo punto ci faceva cantare le hit del momento coi sottotitoli. Quanto ho cantato con Video Sing a Song grazie a Claudio Cecchetto, Linus e Gerry Scotti, mitici! A Londra mi aiutavo diversamente, acquistando un settimanale che usciva anche in Italia, Smash Hits, ne divoravo le pagine intrise di notizie musicali, gossip, e tanti testi tutti da cantare.

C’erano le rivalità tra i gruppi e i relativi fan, Duran Duran vs Spandau Ballet per esempio. Nel 1985 erano appena usciti rispettivamente con Arena, che conteneva Wild Boys, e The Singles Collection dopo Parade (io continuavo ad ascoltare quest’ultimo). Raccolte, di già, la fretta di celebrarsi dopo pochi anni di carriera, una scelta commerciale che mi fa ancora storcere il naso. Tra i rappresentanti di quel pop elegante, che con un po’ d’elettronica strizzava l’occhio a utenti diversi, amavo i Culture Club e i Depeche Mode in egual misura, due gruppi nati insieme nel 1980-81, solo che i primi erano già sul viale del tramonto e si sono arenati in tutti i sensi mentre Dave Gahn e soci, insomma, continuano a fare della gran musica, anzi nel 1985 non davano ancora il meglio. Idem gli Wham che fecero il botto con Make It Big e poi iniziarono a litigare.

Quanta bellissima musica nel 1985, singoli e interi CD, i primi, da ascoltare senza paura di consumarli. Credo di avere ascoltato tutto a Londra. C’erano gruppi che andavano per la loro strada: gli Eurythmics ad esempio, Sade bellissima e bravissima con The Sweetest Taboo, ma anche Sting che con The Dream of the Blue Turtles nel 1985 mi fece cantare tutto l’anno e oltre. A Love Is the Seventh Wave, la mia canzone preferita, ho dedicato questo post. Phil Collins, pure lui stanco di cantare in gruppo, si era messo da solo, con No Jacket Required (e Sussudio) mi tenne compagnia a lungo. Gruppi che stavano bene insieme erano i Dire Straits e gli Style Council di Our Favourite Shop più impegnati di altri, che ho citato in questo post ma cantavo anche Bronski Beat e Soft Cell, Yazoo (che ora scopro essere americani, errore!), Bananarama, Bangles, Talk Talk.

Niente musica aggressiva, niente rock e altre sonorità che potessero bucarmi le orecchie. Ero e sono indifferente, invece, a mostri sacri come gli U2 e i loro cugini grezzi, i Simple Minds.

C’erano gruppi rimasti indietro, troppo attaccati agli anni Settanta, e altri troppo avanti come i Matt Bianco e i i Manhattan Transfer loro cugini americani che ho sempre accostato. Chi si ricorda di Mel & Kim? Mi piacevano e le cantavo volentieri, sapevo che una delle due aveva avuto un tumore, ora leggo che è morta nel 1990, a 23 anni. Brutto brutto. E c’erano altri musicisti che ho lasciato indietro, dimenticati sotto diversi strati musicali.

Il seguito è stata l’estate 1986, quando dopo la maturità son tornata a Londra dove ho passato tre settimane a casa di Samantha per uno scambio, dopo che lei era stata tre settimane in Italia con me. Fu una meravigliosa estate intrisa di grande musica.

Ricordare i gruppi inglesi più attivi in quegli anni è facilissimo, basta canticchiare Do They Know It’s Christmas, il progetto musicale di grande successo prodotto dai Band Aid, una canzone bella e utile per festeggiare il natale 1984 e aiutare l’Africa che soffriva la sete e una grande carestia. Se ora li conto, quelli che cantano ancora sono solo una parte del gruppo. Molto più attivi sono i componenti degli USA for Africa che dopo We Are The World hanno avuto ancora molto successo e, a parte i cantanti morti (!!!), calcano ancora le scene.

In Africa poco è cambiato in questi trent’anni, anzi. A fronte di popoli che hanno migliorato le proprie condizioni di vita, molti altri le hanno peggiorate, spesso per colpa nostra che andiamo laggiù a prendere risorse e deturpare l’ambiente, per il nostro esclusivo tornaconto. Ci vorrebbe proprio una nuova canzone.

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