Shibam ci si svela solo in tarda mattinata, dopo la consueta abbondante colazione alle 8 siamo già a 3.000 m slm a Kawkaban, il paese murato con splendide viste verso la valle e sul Jebel an-Nabi Shu’aib, la montagna più alta dello Yemen a 3.600 m slm. Kawkaban è famoso appunto per la sua posizione che l’ha sempre preservato dagli attacchi nemici (ancor oggi la porta d’accesso è chiusa ogni sera col catenaccio) e per i produttori di forbici che battono il metallo e lo forgiano in modo artigianale. Torniamo a Shibam a piedi scendendo lungo un sentiero scivoloso (occhio alla scelta delle scarpe) dove ammiriamo la ricca flora locale. Oggi è un giorno speciale e temuto: per tutta la giornata assistiamo al rito elettorale, assai sentito sia dagli adulti che ordinatamente si recano alle urne sin dalle prime ore del mattino, sia dai bambini che vi assistono curiosi e spesso riescono ad accedere ai seggi. Anche loro escono sorridenti dopo l’importante operazione, con il pollice bagnato nell’inchiostro, alla maniera che ci siamo abituati a vedere tra la popolazione irachena attraverso i media occidentali. Le donne tengono in mano il loro certificato elettorale e ce lo mostrano orgogliose: accanto ai dati anagrafici e ai timbri esso mostra una foto che le ritrae completamente velate, ci chiediamo come questo documento possa rappresentarne l’identità. Siamo contenti di poter visitare la bella moschea di Shibam e poi torniamo in hotel passeggiando tra le vie del ricco mercato locale. Partiamo alla volta di At Tawila e Al Mahwit, altri paesini interessanti, attraverso nuovi affascinanti paesaggi ricchi di mille colori.

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Dopo un pranzo frugale alle 14 ci immergiamo nel calore soffocante del Wadi Sara che ci resterà impresso per due particolarità: gli abitanti dai lineamenti negroidi e dalle vesti colorate e la vegetazione, composta da alberi bottiglia in fiore, fichi d’India, manghi e banane. Ha smesso di piovere da poco così vi è abbastanza acqua, dopo due ore non siamo ancora in vista della strada asfaltata. Maher si accorge di avere bucato una gomma e si ferma a cambiarla, proprio al lato del fiume in vista dell’asfalto. Questo non è un luogo ricco, per niente. Appena ci fermiamo siamo circondati da una marea di bambini dall’aspetto malconcio che ci fanno le solite richieste: penne, sapone, caramelle, grazie a questo il tempo del cambio di gomma passa presto. Poi però l’auto non vuole più partire, siamo fermi tra i sassi sul greto di un fiume. Con molta fatica e un nastro di fortuna, Maher riesce a farsi trainare da Ali senza mettere l’auto in moto fino all’asfalto e… sparisce. Gli autisti mi dicono che è andato a cercare un meccanico e caricherà quanti più bagagli possibile sulle altre due jeep. Ragionando sul da farsi, senza un mezzo e senza sapere se / quando sarà disponibile, potremmo fermarci là per la notte ma in condizioni assai disagiate, oppure proseguire stipati in due auto per i 70 km che ci separano da Manaka o Al Hajjara. Naturalmente nel frattempo è venuto buio, una condizione non buona per percorrere una strada stretta, buia e piena di strapiombi. Mi consulto con gli autisti e, visto che i due suddetti villaggi sono vicini tra loro decidiamo di raggiungere Al Hajjara, il villaggio più bello e la destinazione iniziale prevista dal programma. Seppure vi arriviamo tardi, stanchi e privi di circa metà dei bagagli, troviamo forse la migliore sistemazione del viaggio con una calorosa accoglienza, un’ottima cena, uno spettacolo di canti e balli locali simpatico e spontaneo. Naturalmente in tarda serata non c’è traccia di Maher né della sua auto e dei bagagli che vi sono collocati così metà gruppo va a letto vestito “così com’è” da questa mattina.

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