Dovremmo uscire alle 8h con tutti i bagagli ma la preparazione e il controllo delle auto, tre fuoristrada 4×4, richiede più di un’ora quindi alle 9h siamo in marcia, prima destinazione la magnifica moschea dono del sultano alla nazione che si trova vicina all’aeroporto, dove dobbiamo anche recuperare il bagaglio di una pax, arrivato con un giorno di ritardo. Approfitto per prendermi un bel beverone, un caffè americano bollente che mi riempie d’energia, oh ma Starbucks non c’è manco qui?
Tornate alla moschea Sultan Qaboos la vediamo senza nemmeno tanto correre, ma passateci almeno un’ora. Gli omaniti sono così accoglienti che hanno piacere di rifocillarci alla fine della visita con tè e caffè al cardamomo, oltre che datteri e dolcetti. Nella moschea procediamo a piedi scalzi tra centinaia di visitatori di ogni tipo.
Siamo tutti ammutoliti per la magnificenza di un’opera moderna sfarzosa, pulita e sobria. Le enormi proporzioni esterne si vedono anche all’interno con vuoti e pieni, nei singoli spazi di preghiera aperti e chiusi, per uomini e donne. La moschea maschile (più grande) ospita lampadari giganteschi e il tappeto più grande del mondo, diversi mirhab, vetrate istoriate con notevoli giochi di luce. E poi il visitor centre per i dolcetti…
Siamo di nuovo in auto, abbiamo due Toyota e una Nissan enormi che guidiamo a turno anche se un’auto ha l’autista che ho proposto al gruppo, per avere meno pensieri e goderci di più il giro. Ottima scelta che consiglio ma, per molti, il gusto della scoperta in viaggio si espleta anche guidando, cosa che in gruppo non mi è mai interessata e mi fermo qui. Abbiamo da fare solo 80 km in autostrada per arrivare alla prima tappa, Barka, ma arriviamo tardissimo.
Alle 12h è rimasto ben poco da vedere del mercato, comunque caratteristico per le operazioni di pulitura di ogni tipo di pesce piccolo – medio – grande, e comodo per acquistare frutta e verdura che serviranno per i nostri spuntini. Si tratta di un souq quotidiano collocato in riva al mare, una location a mio avviso carina con dietro la grossa sagoma del forte che protegge tutto e tutti. Lo sfruttamento e abbellimento di questa parte della città è pari a zero, chissà se qualcuno ne farà un luogo di importanza turistica.
Foto e via, destinazione il forte di Nakhal restaurato alla perfezione, che offre uno spaccato degli antichi sistemi di difesa omaniti e della vita ai tempi degli assedi nemici, improntata all’autosufficienza. Anche qui c’è chi dice che basta mezz’ora per la visita, alla fine credo che si renda merito a un luogo se lo si vede bene, meglio starci un’ora.
Qui vicino c’è Al Towarah, un’oasi di relax, letteralmente, dove fra altissime palme, manghi, papaye e altre piante verdissime scorrono i perfetti canali antichi che costituiscono un sistema d’irrigazione solido, immutato nei secoli. Si chiamano Falaj, singolare, o Aflaj, plurale. Più avanti troveremo coltivazioni presso wadi stanchi, svuotati molto di più da rumorose pompe: è il progresso bellezza, se io dovessi sgobbare tutto il giorno sotto il sole per coltivare la terra penso che mi munirei di una pompa, ma non c’è più poesia, pazienza.
Andiamo poi alla sorgente con acqua calda dove si possono fare due cose: immergersi in costume (dicono si stia da Dio), o pucciarsi nelle fresche acque del fiume che le scorre accanto, dove il foot massage più di moda avviene in modo naturale, con decine di pescetti che ci mangiano le pellicine dei piedi. Roba che da noi si spendono decine di euro e qui è tutto libero e all’aria aperta.
Sole, ombra, relax, ce n’è per tutti ma per poco, ripartiamo e ora abbiamo fame. Guido un’oretta (yuppi) l’auto col cambio automatico – non sono tutte uguali – sino a un ristorantino ideale per pranzare. In verità io sono quella delle colazioni abbondanti con cui vado avanti fino a sera, o quasi, in queste pause di solito prendo un tè, vado in bagno, scrivo il diario e poco più. Il problema è che siamo 15, i locali sono gestiti da indiani poco avvezzi all’interazione con tanti clienti o che forse hanno piacere ad averci lì con loro. Pure nei prossimi giorni staremo fermi 1h o più per pranzare, ciò che io chiamo “perdita di tempo prezioso”, una cosa che mi ha sempre fatto imbufalire non tanto rispetto alle mie esigenze, quanto alla tabella di marcia che così va a farsi benedire…
Siamo in vista dei primi contrafforti, si sale fra alte montagne, Wadi Bani Awf ci attende. E che meraviglia di wadi! Lo vediamo con le splendide luci del pomeriggio inoltrato ma passarci attraverso per 2h scarse è un vero peccato, avremmo potuto fare molto meglio, più soste, più foto, magari due passi. Un posto aspro e selvaggio, con precipizi verso il fondovalle dove scorre in teoria il fiume, rocce, ciuffi d’erba e ogni possibile metro quadro di terra sfruttato per piccolissime oasi e terrazze con le coltivazioni dei (pochi) abitanti.
Questo è il mio primo flash di Yemen, il primo di una lunga serie anche se molto edulcorata. La strada è un ciottolato strettissimo, scosceso, dove procediamo a passo d’uomo eppure balzelliamo quasi come fossimo a dorso di cammello. La calma e pace che mi infonde il deserto, un luogo deserto, è impagabile. Il cielo è e rimarrà grigio per le tempeste di sabbia che hanno colpito tutta la penisola arabica dalla fine di marzo.
Alle 18,30 siamo nuovamente sull’asfalto e una strada “normale” che in 1h ci porta a Nizwa, bella grande piena di confusione e lavori in corso, il nostro hotel come tutti è fuori dal centro, purtroppo, ma è bello a sufficienza da garantirci due notti di soggiorno confortevole, con quel che costa! Stanze doppie e appartamenti fanno comodo al nostro gruppo per suddividerci serenamente. Verdure, riso, pizza vegetariana sono gli ingredienti della mia ottima cena, mangiamo felicemente e abbondantemente in hotel, poi alcuni vorrebbero andare in centro in cerca della birra, ma si può? Per fortuna abbiamo una bottiglia di rhum del dutyfree, che consumiamo a bordo piscina chiacchierando fino a tardi, poi la stanchezza ha il sopravvento e andiamo a dormire. Leila saida, buona notte!
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