8 gennaio 2013
Torno a Marrakech dopo 16 anni, anche per tornare dal parrucchiere, come nel giugno del 1997 quando durante il mio soggiorno al villaggio Valtur avevo sentito il bisogno di mettermi la testa a posto per la serata di gala . Non solo ero in un non luogo che per definizione, come le crociere, non mi appartiene, ma anche giocavo tutto il giorno a golf nel campo scuola del villaggio, quattro ore sotto il caldo infernale di giugno, quando lo racconto alle mie amiche non mi credono. Avevo chiesto di andare in taxi da Le Palmeraie, località dove sorgeva il villaggio, alla medina di Marrakech a cercare un parrucchiere, trovando per fortuna un passaggio con il nostro capo contabile. Cinquantenne, romano, brizzolato brillante come si conviene a un uomo che ha scelto di vivere nei luoghi di divertimento facendo ogni anno una stagione al mare e una in montagna, intervallandole con le visite alla famiglia a Roma. Mi portò da un coiffeur unisex molto carino nella medina, arredato in bianco e nero che mi ricordava Jean Louis David, con 15.000 lire feci shampoo taglio piega, e mi affezionai al rito del parrucchiere che ho ripetuto in altri viaggi e che ora è l’ultimo atto di tutti i miei viaggi.
Ora nel 2013 il villaggio di Le palmeraie non c’è più, a dire il vero non c’è nemmeno la Valtur e anche altri tour operator sono cambiati o si sono spenti, ancora prima dell’ondata di crisi che ha messo gli italiani con le spalle al muro impedendoci spesso di godere le agognate vacanze in un posto esotico. Io viaggio con Avventure nel Mondo , coordino i gruppi e mi diverto in questo ruolo, cercando di svolgerlo con responsabilità e accettandone gli oneri, molto maggiori degli onori.
Per descrivere i siti di interesse di Marrakech ci sono le guide, comunque noi il martedì mattina passeggiamo sotto un sole caldo, finalmente, per visitare le tombe saadite, la moschea, la koutubia e i palazzi che si dipanano a sud della piazza. Il ricordo di 16 anni prima è ancora vivo in me e a ogni passo mi ritengo fortunata ad essere tornata in questa stupenda città, potrei rimanere una settimana senza annoiarmi, emette energia positiva e ogni luogo, persona, negozio, palazzo, animale (gatti, qualche cane, le splendide cicogne col nido all’ingresso delle tombe) che incontro ha qualcosa da dirmi. Pochi turisti si aggirano per la medina, tutti carini e a loro modo eleganti, silenziosi, i più caciaroni siamo noi. I marocchini, e soprattutto le marocchine, sono altrettanto belli, sia che portino abiti tradizionali come la jallabija o il burqa che ci fa tanto discutere in Italia, sia che ostentino abiti alla moda come si trovano nelle nostre boutique.
Per pranzo cedo alla tentazione di mangiare col gruppo (non ho mai pranzato tranne per qualche patatina presa al volo) in un bel baracchino sulla piazza, frequentato anche da uomini d’affari in giacca e cravatta, che ci nutre con la cifra pazzesca di 25 DH a persona, meno di 3 euro per un ottimo piatto di carne alla brace con patatine fritte. Liberitutti!! il pomeriggio è ognuno per sé con due appuntamenti, alle 20 per un giro della città a bordo del pulmino, alle 21 per andare a cena nella Ville Nouvelle . Disegno sulla cartina dei raggi che si dipanano da piazza Jemaa el Fnaa in cerca di ispirazione, per osservare la gente e scattare qualche foto mentre passeggio senza meta, come per passare il tempo, e basta. Sono davvero felice di essere qui ora, di avere bei pensieri sul mio futuro contrapposti alle nubi scure che mi sovrastavano fino a poche settimane fa. Tutto è bello e luminoso, qui e ora: caldo ma non troppo, rumoroso ma ordinato, esotico ma occidentale.
Ho un déjà vu pazzesco proprio su questa piazza che mi riporta a Patan in Nepal , in quella splendida capitale di un regno di cui oggi ammiriamo i palazzi e i templi di Durbar Square con i loro colori pastello, e all’orizzonte gli Ottomila imbiancati di neve. Jemaa el Fnaa ha sullo sfondo l’Atlante imbiancato di neve , splendido, unico. Sentimenti contrastanti, felicità, pensieri, desiderio di fermare il tempo, testa nelle nuvole. No, oggi qui, domani Italia. Squilla il cellulare e torno alla realtà, è una telefonata “di lavoro” che esige attenzione e dedizione. In un internet point mi metto in fila per scansionare e spedire in Italia dei documenti, gioco con due bimbi tali e quali (si fa per dire) ai miei adorati nipotini: lei cinque anni, lui tre; lei tranquilla, lui scatenato. I genitori mi raccontano che stanno in giro 10 giorni tra città e mare, sono algerini più svegli di me, mi descrivono il loro Paese come un eden di pace e paesaggi incontaminati, come se avessi bisogno di altri stimoli per metterlo nella mia lista. Consegno il mio biglietto da visita e lei carinamente mi chiede se ho un account Facebook, certo, le rispondo, cercami con l’indirizzo email. Dopo la famiglia algerina arrivano V&C, una coppia carinissima che sta, diciamo così, sul Lago Maggiore. Giovani pensionati, da ben nove anni caricano il camper sulla nave a Genova all’inizio dell’inverno, scendono qui e vedono ogni anno un pezzetto di Marocco. Dopo tre mesi tornano in Italia e via, la stagione fredda è passata, che invidia!
Tendo l’orecchio, c’è Manu Chao in sottofondo che canta Clandestino e le canzoni di quegli anni Novanta, passati, lontani, con tanti riferimenti ai luoghi dove mi trovo ora, che potrebbe essere un segno del destino, a volerlo ascoltare. Se penso alle volte che non ho ascoltato questi segni mi rendo conto di avere perso del tempo, meglio cambiare pensieri, meglio mandare l’email di lavoro in Italia, tornare al riad e andare dal parrucchiere.
Fa buio presto e viene freddo, ci sono solo io nel salone al primo piano mentre al piano terra del medesimo centro benessere tre compagne di viaggio si stanno rilassando tra hammam e massaggi . Il muezzin chiama alla preghiera un’ora dopo il tramonto, è l’ultima preghiera per oggi e viene dalla moschea accanto a noi, lo sento forse per la prima volta in questo viaggio, non ci ho ancora fatto caso e se non l’ho sentito all’alba significa che dormivo, buon segno. Che bella testina mi fa la parrucchiera, peccato non sia loquace perché di solito cerco di parlarci, ci ho provato anche in Cina e in Mongolia che erano obiettivamente posti meno dialogabili!
Pago, corro all’appuntamento col gruppo e usciamo insieme per l’ultima cena, destinazione sconosciuta: un lounge bar dove mangiare e ballare nella città nuova. I partecipanti che hanno sempre brontolato per la monotonia della cucina marocchina non sanno che più o meno si mangiano sempre le stesse cose in qualsiasi location, più o meno elegante, cercano una botta di vita ed evidentemente hanno già esaurito il fascino della Medina della bellissima Marrakech. Assecondiamoli: l’autista Mahdi dovrebbe sapere tutto, ci porta a un ristorantino elegante e, mi assicura, con un ottimo rapporto qualità / prezzo. Peccato che alle 21 sia già vuoto e per nulla invogliante, allora era meglio restare a un baracchino sulla piazza. Ok spostiamoci, qui vicino dovrebbe esserci il viale della “movida marrakshiya” . Presto fatto, la scritta Lounge Bar campeggia all’ingresso di un locale, sorvegliato da un grosso buttafuori in giacca e cravatta, surreale. Scendo con tre partecipanti (i più scalpitanti ovviamente) a vedere la location e il menu, dentro l’arredamento e i tavoli con tovaglie bianche contrastano con le luci soffuse e un megaschermo che trasmette una partita, c’è l’odore indefinito dei locali di Milano dove ti abbuffi per l’happy hour ma esci con il fegato devastato dal mangiare e dal bere. Descrivo gli avventori: tre uomini mangiano distrattamente e si guardano intorno, un paio di ragazze poco vestite siedono di fronte al banco, una signora ci viene incontro, ammicca con lo sguardo e sa che sta per riempire il locale con 14 italiani alla loro ultima serata marocchina. Mi sorride ed è già un po’ viscida ma faccio finta di niente, ci porge il menu che ovviamente è caro ma l’avevamo preventivato, la cassa comune ce lo consente. Potremmo scegliere di cenare al primo piano a un lungo tavolo con divanetti, o al piano terra unendo dei tavoli normali. Negoziamo il solito menu, zuppa e couscous o tajine, e musica dopo cena; la musica dal vivo di solito è nei fine settimana ma ci faranno ballare. Ringraziamo e usciamo contenti per comunicare la nostra proposta al gruppo che ci ha aspettato nel pulmino osservando la fauna che c’è in giro. Siete sicuri di voler cenare qui? Quando entriamo tutti insieme ci apriamo gli occhi, me compresa, siamo finiti in un bordello o nella succursale di un luogo d’incontro, uno di quei posti squallidi di periferia camuffati da discoteche e simili, che a Milano pullulano intorno alla stazione e che ho sempre evitato come la peste. Restiamo, cambiamo, torniamo al centro? Dopo una discussione accesa decidiamo di rimanere, ma per tutta la serata assistiamo a un andirivieni di personaggi degni di un B movie anni 90 con scenette che racconterò volentieri a voce ma ometto di riportare qui, per fortuna dopo cena balliamo un poco davvero e addirittura fumiamo il narghilè . Che bel viaggio, che bel gruppo!
A mezzanotte come Cenerentola rientriamo al riad, abbiamo tempo per salutarci perché all’una sei partecipanti prendono un piccolo pulmino per Casablanca (hanno l’aereo per Milano alle 7) mentre io e i sette “romani” dormiamo ben 3h, dalle 2 alle 5, e prendiamo un altro pulmino (abbiamo l’aereo alle 11).
Devo proprio raccontare la fine del viaggio? Che tristi i saluti, vanno bene sia i trasferimenti sia il volo, i bagagli che arrivano e noi che ci separiamo, una settimana dall’altro capo del Mediterraneo è volata e abbiamo già voglia di ripartire, lo so, lo sappiamo, ma ci sentiremo e ci vedremo presto da qualche parte, inshalla.
Grazie ai miei 13 favolosi compagni di viaggio, che stavolta più diversi non si può ma che, messi insieme, dai singoli elementi hanno fatto scaturire una miscela colorita e gustosa, come il migliore couscous.

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