L’Avana, agosto 2000.

Siamo appena arrivate a Cuba ma è chiaro che ci piacerebbe rimanere oltre le due settimane previste, per qualche visita in più: cultura, mare, relax, rispetto al nostro intenso programma. Siamo tre ragazze sui trent’anni , siccome si fidano di me per lo spagnolo e per altri aspetti operativi, le mie due amiche mi lasciano volentieri alla Cubana, la nostra compagnia aerea, con i biglietti aerei: missione “posticipare il rientro in Italia”. E se ne vanno da Coppelia a mangiare il gelato.

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Una fila lunghissima di persone mi precede, sfoglio la Lonely Planet in silenzio e pratico il mio sport preferito: ascoltare i discorsi degli altri, quasi tutti turisti, molti dei quali italiani. Quelli davanti si lamentano, dopo Ferragosto ogni giorno ci sono oltre 100 persone in lista d’attesa . Anche quelli dietro si lamentano: due ragazzi sui 25 anni pare abbiano assimilato alcune abitudini locali e si divertano parecchio, ma qualcosa non va. Va bene portarla in giro, va bene offrirle la cena, ma se lei non me la dà la prima sera basta, non ho mica tempo da perdere io! Più chiaro di così! Sorrido in silenzio, la descrizione delle loro avventure è abbastanza dettagliata e prevedibile, tra luoghi comuni sugli italiani che praticano il turismo sessuale e donne che si concedono per fame, o sempre più spesso per comprarsi un bel vestito o le scarpe di marca.

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Dopo quasi 2h le mie amiche tornano alla Cubana, mi si avvicinano felici e dicono a voce alta: Roby devi assolutamente venire da Coppelia, il gelato è strepitoso! I due ragazzi dietro di me sbiancano in volto e si fanno piccoli piccoli, io sorrido guardandoli negli occhi. Ma sei italiana? Eh sì, rispondo. Voi di dove siete? Firenze… Prato, farfugliano in evidente imbarazzo. Scambiamo qualche battuta e subito dopo tocca a me chiedere se c’è posto su un volo a fine agosto, è una missione impossibile ma tengo un codice di richiesta e un numero da chiamare per informazioni.
Salutiamo e usciamo, racconto alle ragazze la conversazione che ho seguito in incognito e saliamo verso il Vedado . L’Avana è bellissima e vivibile sia seguendo serrati itinerari turistici, sia passeggiando nelle vie dei suoi tanti quartieri. C’è un forte contrasto tra luoghi molto curati e tutelati, palazzi e giardini lussureggianti di verde, e il disordine, la trascuratezza e la precarietà che si respirano in altre zone, dove le case perdono letteralmente i pezzi nell’indifferenza e impotenza generale. Camminiamo tutto il giorno rispettando i rituali del turista, dal mojito alla Bodeguita del Medio (anche a orari improbabili) al tramonto sul Malecon (ma niente onde in questa stagione).
Que linda es Cuba! Tra una città e l’altra ci spostiamo con mezzi privati che io “contratto” per la strada, con il nostro chauffeur cerchiamo all’arrivo una casa particular dove dormire poi, una volta che approviamo la sistemazione, lui si allontana dicendo sempre che ha sete e vuol farsi dar da bere dal padrone di casa. In realtà va a chiedere la sua mancia, il 10% sull’importo della stanza.
Facciamo delle belle chiacchierate con i padroni di casa, magari dopo cena mentre ci culliamo nel patio su una sedia a dondolo, avvolte dal caldo umido e dall’odore della terra, più intenso dopo l’immancabile acquazzone pomeridiano . Imparo qualcosa di questo Paese speciale, così affascinante anche se oggi è pieno di problemi e ha un futuro assai incerto. Man mano che Fidel Castro invecchia, infatti, la dittatura scricchiola tra la pressione degli Stati Uniti, il sempre minore appoggio della Russia e le difficili relazioni con le nuove potenze internazionali. Il 13 agosto , compleanno di Fidel, le televisioni a reti unificate trasmettono il discorso del presidente, ore e ore di sermoni a volte anacronistici ma che la gente ascolta con attenzione. L’ascoltiamo pure noi, le sue parole rimbombano fino in strada: oggi la propaganda più visibile è proprio in strada, dove enormi cartelli inneggiano alla rivoluzione e ripercorrono le gesta degli eroi nazionali , primo fra tutti il mitico Ernesto Che Guevara , che nella sua breve vita seminò pace e amore, morendo da eroe.

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I paesaggi rurali si svelano pian piano con le loro luci e ombre, un territorio ricchissimo ma ancora poco sfruttato, utilizzato per un’agricoltura di sussistenza dove il lavoro nei campi è ancora manuale e trattori malconci procedono sui cerchioni delle ruote, in assenza di pneumatici! A Cuba tutto è possibile, nei primi giorni di visita le vecchie auto lasciate dagli americani negli anni 50, prima della rivoluzione, attraggono l’attenzione di ogni turista, dopo la meraviglia iniziale ci chiediamo come facciano a procedere, pare più probabile che perdano i pezzi! E c’è pure la ferrovia dedicata soprattutto al trasporto di merci, che taglia in due l’isola; ai passaggi a livello rallentiamo e dei ragazzini spuntano dal nulla per offrirci la Cuba Cola , prodotto locale da non confondersi con l’icona occidentale, da loro definita con disprezzo “El agua sucia del imperialismo norteamericano”.
Cienfuegos – Trinidad – Santiago , che raggiungiamo col bus notturno della Viazul, sono le nostre tappe verso sud, bellissime città più o meno grandi caratterizzate da architetture ed edifici diversi.

Di Cienfuegos ricordo la grande piazza rettangolare con l’immancabile statua al centro, e le enormi torte colorate che escono dalle pasticcerie per festeggiare qualche importante evento familiare.

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A Trinidad potremmo fermarci a lungo nel bellissimo centro storico, recentemente restaurato con importanti finanziamenti UNESCO.

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In realtà passeggiamo in lungo e in largo per un giorno, assaggiamo la Canchanchara , il cocktail locale fatto col miele e l’immancabile rum, e la sera ascoltiamo musica dal vivo alla Casa de la Trova . E rinunciamo solo alla gita fuori città, verso una spiaggia che si affolla anche di sera in un locale ricavato in una grotta, chiamata per l’appunto “La Cueva”.

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Il secondo giorno andiamo nella vicina Sancti Spiritu dove un acquazzone tropicale ci coglie di sorpresa, ma a metà pomeriggio il sole ha la meglio sulle nuvole e il piccolo centro storico si rivela nei suoi stupendi colori pastello. Qui prendiamo il bus notturno per Santiago, un lungo trasferimento che ci permette un bel contatto con cubani che sbarcano il lunario vendendo panini e snack fatti in casa, sempre sorridenti e desiderosi di comunicare.

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A sud le facce cambiano, a Santiago spicca l’anima nera di Cuba e la gente sembra particolarmente lontana dall’allegra mescolanza avanera.

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Dopo una settimana di viaggio siamo quasi dall’altra parte della Isla Grande , abbiamo capito che non arriveremo a Baracoa e dovremo tenerla per un prossimo viaggio. L’hotel nella piazza principale ospita le compagnie di noleggio auto, ma non c’è nulla di disponibile e devo nuovamente cercare un passaggio in auto per mezza giornata, impresa ardua perché contrattare è quasi impossibile, dobbiamo stare ai prezzi imposti sulla strada. Il Cuartel Moncada è il luogo da cui ebbe inizio, nel 1959, la rivoluzione cubana, lo visitiamo distrattamente e con un giovane autista andiamo verso il Morro oltre al quale c’è una bella spiaggia. Ho sempre scelto i miei autisti fidandomi di loro a pelle, ma quando questo armeggia nel cruscotto lancio un’occhiata incerta alle mie due compagne di viaggio, cosa starà mai cercando? Mi tengo vicino l’ombrellino pieghevole in caso di bisogno, ma con grande sorpresa il ragazzo estrae un profumo per auto con cui spruzza un aroma floreale pazzesco nell’abitacolo, e noi che temevamo le sue cattive intenzioni! Allarme rientrato, un po’ di relax in spiaggia ci vuole proprio mentre lui ci raggiunge per offrirci dei manghi freschissimi avvolti in una foglia di palma, mentre con una foglia più grossa ci rinfresca a mo’ di ventaglio. Che carino!

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A Holguin siamo in compagnia di altri tre italiani che dormono nella stessa casa particular, nella stanza accanto alla nostra. Allora – tutto bene? Ci chiede il più vivace dei tre. Come vi va con i cubani? Questi danno per scontato che siamo venute qui per divertirci, ma anche loro non scherzano, lo sport preferito è sempre cuccare. Ma sono comunque simpatici e divertenti, dopo una cena abbondante, a base come sempre di aragosta, riso e fagioli , andiamo insieme al Tropicana, un club in mezzo alla foresta che raggiungiamo su dei risciò guidati da giovani del posto. Assistiamo a uno spettacolo musicale con canti e balli di ragazze molto belle ma decisamente poco vestite. Il servizio ai tavoli è lento, l’organizzazione carente. Il mio daiquiri non arriva, dopo qualche sollecitazione, il cameriere mi confessa che hanno finito il ghiaccio e torno a casa a bocca asciutta.

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Passiamo mezza giornata nella stupenda spiaggia di Guardalavaca dove ci fa compagnia un altro giovane cubano, scuro e dal fisico scolpito. Mi racconta che fa pugilato, ci chiede dell’Europa con quella curiosità che non nasconde la voglia di evadere da Cuba, un paradiso che facilmente diventa una gabbia per le giovani generazioni. Portami con te, mi chiede, chissà come pensa che potrei farlo uscire dal suo Paese! Eppure qualcuno ce l’ha fatta, se l’Europa si raggiunge in aereo e qualche fidanzamento di convenienza è la scusa più comune, per andare nei vicini Stati Uniti il metodo più utilizzato è il gommone , diretto verso le coste della Florida che distano meno di 200 chilometri. Non tutti ce la fanno purtroppo, si tratta pur sempre di un viaggio lungo e pericoloso. Sino agli anni 90 l’immigrazione ha alimentato un forte movimento anticastrista , mentre ora i giovani sono meno coinvolti dalle vicende politiche. I nostri padroni di casa di Santiago ci mostrano i loro cimeli della rivoluzione, vere e proprie reliquie a cui tengono tantissimo, usano parole di disprezzo per quelli che fuggono, incluse cantanti che hanno fatto fortuna negli USA come Celia Cruz e Gloria Estefan.

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Per andare ai cayos noleggiamo un’auto, i cubani non ci possono portare. Percorriamo il famoso teraplen che unisce gli isolotti, fotografiamo folte colonie di flamingos e superiamo Cayo Coco dove si trovano tristi villaggi turistici “per italiani”! Cayo Guillermo è la nostra destinazione, per molte ore ci crogioliamo al sole, ci siamo solo noi o quasi. Che fantastica spiaggia, che bellissima giornata!

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Siamo quasi agli sgoccioli di questa vacanza vissuta a ritmi un po’ sostenuti, poco latini e molto milanesi. A proposito di ritmo, alla fine ci concediamo un po’ di lusso nel posto meno cubano che potremmo scegliere: Varadero. Trascorrono gli ultimi giorni tra la spiaggia di giorno (dove i poliziotti ci avvisano di fare attenzione ai borseggiatori) e la discoteca di sera, fino a notte fonda.

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Basta salsa e danze latine, qui suonano la nostra musica e nel “bar abierto” si può bere tutto ciò che si vuole. Anche questa è Cuba, ma a misura del turista medio italiano: qui dove fino agli anni 80 c’erano venti chilometri di spiaggia bianca deserta ora si susseguono resort e grattacieli orrendi, tutto è stato deturpato per permettere ai turisti di venire qui a far baldoria. Seleziono ben 15 cartoline da mandare a parenti e amici in Italia, all’ufficio postale compro i francobolli, porgo 7,50 dollari all’impiegata e questa mi propone gentilmente di apporli e spedirli lei, anzi ne applica subito due e le dico ok, faccia pure. Quelle due cartoline arrivano a destinazione, le altre 13 restano a Cuba.

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Naturalmente l’impiegata intasca i miei soldi, cosa ci si inventa per sbarcare il lunario! Non mi sono mai arrabbiata per questa piccola ruberia, l’ho considerata un trucco necessario per arrotondare uno stipendio spesso equivalente a pochi dollari al mese, insufficiente anche sommato alla tarjeta con cui i cubani accedono a razioni settimanali di riso, sale, zucchero, fagioli, caffè (cattivo) e generi di prima necessità. Le lunghe tristissime code per procurarsi il cibo sono un pugno nello stomaco, in confronto con le vetrine sfavillanti dei negozi dove i turisti e i cubani ricchi fanno acquisti. Da Varadero una lingua d’asfalto lunga 160 chilometri ci riporta all’Avana dove il volo della Cubana de Aviacion ci riporta infine in Italia. Arrivederci!

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In realtà un’altra lista d’attesa mi lega a Cuba: otto anni dopo, alla fine del secondo viaggio nella Isla Grande, rischio di rimanere all’Avana con tre amiche. Il volo di rientro è così pieno che sino alla chiusura del gate non sappiamo se riusciremo a partire. Ma questa è un’altra storia.

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7 comments

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Roby dai dillo che anche voi tre a Cuba c’eravate andate a far turismo sessuale 😀 ahahahha
ogni volta che devo leggere un tuo post mi ritaglio un pò di tempo e tra situazioni, dettagli, atmosfera e la tua inconfondibile penna….o m’è parso di stare a Cuba con voi!! domani rilancio il post, troppo bello.

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monica facciamo che ci sentiamo in privato in quel viaggio è successo DITUTTO

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ecco, sono rabdomante 🙂 con tre belle donne così era il minimo

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ci chiamavano LAS TRES MARIAS oppure las espice girls o cose così. una bionda una castana una mora…

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ho già capito….sfracelli 🙂

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Eh sì, contala giusta! Il sole, il mare, i cocktail, i fisici scolpiti…. 😉

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mi sa che parlerò solo in presenza di un avvocato. monica posso chiedere a tuo fratello? 🙂

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