Sabato 7 giugno 1984 ero al mare con i miei. Dopo pranzo, come ogni domenica, si riposava un po’ chi in casa, chi disteso sulla sabbia. Quando salimmo in auto tutti pigiati come ogni fine settimana, non sapevamo cosa avremmo visto sulla via del rientro a Mestre. Nel punto in cui la Romea arriva a Marghera c’era una rotatoria come oggi, ma quel giorno non era deserta, senza tanti camion né traffico leggero. Quel giorno trovammo la strada invasa da una silenziosa processione di operai in tuta, centinaia di persone molte delle quali portavano bandiere rosse e dei sindacati, procedendo verso il Petrolchimico. Era successa evidentemente una cosa grossa, ancora non sapevamo cosa ma, poco dopo, ci sarebbe stato chiaro che Enrico Berlinguer, Capo del Partito Comunista, se ne stava andando.

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Sessant’anni o poco più, durante un comizio nella vicinissima Padova si era sentito male, un malore dal quale non si sarebbe più ripreso per lasciare un partito, e una consistente parte dell’Italia, senza un capo. Ecco, un capo così non l’hanno fabbricato più. In un periodo in cui l’Italia cercava di chiudere faticosamente la partita con gli anni di piombo con la sua triste striscia di sangue, tributo pagato da forze dell’ordine, magistrati, giornalisti ma anche dalla gente comune, coloro i quali si erano trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato, Enrico Berlinguer poteva forse dare un contributo alla crescita, al cambiamento. Ma non ci riuscì, schiacciato da un destino che decise la sua fine gloriosa, sul palco, ma foriera di cambiamenti infausti per l’Italia e per la sinistra. Ciò che è successo dopo è storia, magari brutta ma è quella che ci hanno consegnato i suoi eredi.

Ciao Enrico, ci manchi tanto, fai qualcosa dal cielo dove stai ora, mandaci un segnale positivo che noi e la nostra bella Italia ne abbiamo bisogno, ogni giorno di più.

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