Mercoledì 29 06
Anche oggi vediamo bellissimi paesaggi ondulati: costeggiamo il fiume Chulut a dx…
una foresta di conifere a sx dove ipotizziamo l’influenza di Chernobyl: qui gli alberi grossi sono cresciuti normalmente, mentre i più giovani hanno stranamente il tronco doppio.
Ci fermiamo in una guanz dove Tsojoo e Bothro pranzano, sono solo le 12 e noi non abbiamo fame così facciamo due passi.
Quando i bisogni fisiologici incombono, nelle zone ondulate è facile accucciarsi senza essere visti, ma prima o poi tutti si rassegnano a utilizzare la toilette mongola, un casottino di legno, chiuso, con un buco all’interno dove finisce tutto quanto. Bisogna fare in fretta, senza pensare, guardare o annusare. Una famiglia di aquile deve avere il nido qui vicino, quando si alzano in volo in cerca di cibo ne vediamo l’apertura alare impressionante.
Gher isolate ci invitano ad avvicinarci, non ci sono confini o recinzioni, d’altra parte qui funziona così: la terra appartiene allo stato che la dà in uso ai mongoli, nomadi, per l’allevamento allo stato brado.
Quando un pascolo è esaurito essi smontano le tende, le caricano su un carretto o un fuoristrada e vanno in cerca di un nuovo pascolo. Nella stagione calda avvengono gli accoppiamenti che daranno nuovi nati l’anno successivo (gli animali di grossa taglia, come cavalli e cammelli, hanno una gestazione di 9 – 12 mesi). In questa valle aperta ma solitaria assistiamo alla tosatura, in un piccolo recinto padre e figlia bloccano l’animale, lo legano e con una forbice lo tosano; spesso non riescono a separare gli animali “pelosi” da quelli “pelati” che si mescolano tra loro, così come alcuni capi si oppongono strenuamente al trattamento.
Il fiume Chulut, alla nostra dx, sprofonda in una gola racchiuso da un letto di pietre vulcaniche scure.
A sx gli alberi sembrano tutti uguali, ma il più grande, l’albero sacro di Zum Salaa Mod, si vede da lontano perché ha il tronco completamente avvolto da sciarpe votive blu.
Purtroppo dall’anno scorso ne è rimasto solo un moncherino, dopo che un fulmine ne ha distrutto la chioma.
Mangiamo ai suoi piedi: sopressa, formaggio, coca cola, arance. Potremmo fermarci a Badmarag, un bel camp in una valle verde utilizzato spesso dai ns gruppi, ma per fortuna procediamo per almeno altri 50 km verso il vulcano. A Badmarag fra l’altro Bothro ha lavorato per quattro anni, incontrando suo marito, infatti lei e Tsojoo stanotte non staranno con noi ma verranno a dormire in questo camp. Entriamo in una gher nuova, il regalo di nozze di una coppia che si è sposata lo scorso anno. Lei ora è incinta ed è circondata da nipotini e nonni, una classica famiglia allargata che si aiuta come una piccola comunità.
Ci offrono formaggio secco, burro e a ciascuno di noi una tazza di latte di yak, spuntino delizioso e ospiti deliziosi.
Regaliamo cappellini, palloncini e pennarelli portati dall’Italia. Siamo nell’Aimag di Arkhangai, dal paese di Tariat si sale rapidamente sino alle pendici del vulcano Khorgo.
Lo visitiamo alla fine di un’intensa giornata, quando l’aria è fresca e la luce del tardo pomeriggio è più suggestiva.
Secondo le relazioni, in cima tira vento forte e sono possibili improvvisi acquazzoni, ci copriamo ma fa caldo anche lassù.
Saliamo per 30′ in un bellissimo paesaggio montano, con un tripudio di fiori colorati (miosotidi, anemoni, rododendri, rose selvatiche, lupini ecc). Il piccolo cratere è percorribile anche all’interno, il panorama è notevole, per le foreste di conifere circostanti e perché lo sguardo spazia oltre sul lago che visiteremo l’indomani.
Si tratta in realtà di due laghi in sequenza, Terkhin Tsagaan Nuur è più grande, accanto vi è il piccolo Khuduu Nuur, non meno interessante; i fiumi omonimi ora ne alimentano i bacini, mentre d’inverno è tutto ghiacciato.
Scendiamo, piove e ci rifugiamo nel fuoristrada, la ns destinazione è vicina, Khorgo Camp è bellissimo. Doccia, cena, ipad, carte; fa molto freddo e un goccio di vodka ci scalda a dovere nella gher ristorante. Allietati da un sottofondo di musica pop conversiamo con alcuni stagisti e il figlio del padrone. Che persone tenere, hanno la vita davanti e stanno lavorando per costruire il loro domani ma dubito che rimarranno in Mongolia, è forte la tentazione di vedere il mondo oltre le montagne. Li capisco, io sono una vagabonda incallita e non so se potrei vivere in un Paese così isolato.
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www.gamberetta.it/reportag/asia/lost-in-mongolia-come-perdersi-e-ritrovarsi-nel-nulla-che-ammalia/
2 comments
gipsy1984
quanto mi piacerebbe vedere la Mongolia… e anche il Nepal a dirla tutta!
gamberettarossa
Cara @gipsy1984 sono paesi che ti trasformano e al ritorno sei un’altra persona, ho 2-3 diari di viaggio arretrati poi vedrai anche i nepal su Gamberettarossa OK?