La Pinacoteca di Brera è un museo bellissimo nel centro di Milano. In una quarantina di stanze condensa un percorso artistico dal Trecento a oggi, concentrato sulla pittura italiana delle maggiori scuole con un occhio ad alcuni grandi pittori europei come Bruegel, Rembrandt, Rubens, Van Dyck.

L’avevo visitata alla fine degli anni Ottanta, fu tra le prime cose che volevo vedere a Milano: ricordo che mi suscitò lo stupore e l’appagamento che l’Arte in generale, e la Pittura in particolare, mi provocano da sempre. Dalla testa dritto al cuore. Da allora ho desiderato rivederla, e rivedere soprattutto un piccolo gioiello speciale, il Cristo Morto di Mantegna che mi aveva colpito sin dai tempi del liceo. Da allora, la Pinacoteca di Brera per me “è il Cristo Morto”, e viceversa. Ma per tanti anni non ci sono tornata…

All’inizio dell’estate, si sa, il pubblico dei musei cambia e in alcuni giorni si dirada. Inoltre, per una strana mania tutta italiana causata forse dalla nostra enorme offerta museale, tendiamo a curiosare più spesso oltre confine che in casa, o peggio ancora affolliamo mostre ed esibizioni temporanee, non sempre di qualità, a discapito dei luoghi deputati al culto dell’Arte, come appunto i musei. Io non amo le mostre e preferisco di gran lunga visitare le opere dove dovrebbero stare sempre, non per un tempo limitato.

Per questo ho accolto con piacere la proposta, intravista su Twitter, di entrare in Pinacoteca con un occhio particolare, a partire dal 28 giugno scorso. Raccontami Brera è un progetto, iniziato nel 2013, con cui alcuni addetti dei Servizi educativi prendono per mano i visitatori e raccontano un quadro, inserendolo dapprima nel suo contesto storico e soffermandosi sui dettagli pittorici, per poi portarlo ai giorni nostri attraverso le esperienze di vita personali e la storia della propria famiglia. La narrazione è snella, profonda e coinvolgente al tempo stesso. Il parallelo tra ieri e oggi è particolarmente efficace a dare nuova vita a un quadro. Ecco cosa abbiamo visto nel primo appuntamento con Raccontami Brera.

Rosi Gradante ci introduce alla scuola marchigiana del Quattrocento attraverso il Polittico di Cagli di un artista che non conoscevo: Niccolò di Liberatore detto l’Alunno.

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L’opera datata 1465 si trova nella sala dei polittici, la numero XXI, un tripudio di Madonne e Santi in rosso e blu incorniciati in oro. Purtroppo vi sono anche opere incomplete perché alcune parti, nel tempo, si sono smarrite. Brera nasce come museo oltre 200 anni fa, recentemente è stata arricchita attraverso le donazioni ma, all’inizio, molti quadri esposti arrivarono con le requisizioni dell’epoca napoleonica. Come dire che le chiese dov’erano state collocate dal principio, per esempio in Veneto e nei domini della Repubblica di Venezia, furono svuotate a beneficio dei Francesi e ora si trovano nei maggiori musei, non solo in Italia. Il Polittico di Cagli fu commissionato per il monastero di San Francesco a Cagli, ci vollero oltre cinque anni per portarlo a compimento da parte della bottega di Giovanni Petruccio, attiva a Foligno. Liberatore era suo genero, e si formò sia alla bottega, sia frequentando alcuni illustri maestri dell’epoca come Mantegna e Squarcione a Padova, Beato Angelico e Benozzo Gozzoli a Roma. L’ispirazione artistica si vede nei volti dei santi ritratti nel polittico, nella Madonna col bambino e negli angeli; ma anche nell’effetto prospettico dovuto all’utilizzo dei colori ora tenui ora vivaci. Il Polittico fu letteralmente smembrato a partire dall’Ottocento (sempre dai saccheggi napoleonici) e venduto a pezzi. Solo una trentina di anni fa, quando ormai si trovava a Milano, è stato restaurato con l’intento di ricomporlo, anche se alcune parti non sono state ritrovate. Rosi ci racconta le vicende legate allo sradicamento del Polittico dalla sua sede originaria, in parallelo alla storia della sua famiglia numerosa, con una suddivisione della terra tra i fratelli che la volevano coltivare, tranne sua madre, che se n’è andata dalle Marche e non è più tornata.

Ivana Santarsiere ci racconta l’Odalisca di Francesco Hayez, collocata nella sala XXXVII su una parete affollata di piccoli quadri, tra cui il celebre ritratto di Manzoni e altri ritratti di personaggi famosi dell’Ottocento.

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Ben visibile, anche se in un angolo, c’è un quadro simbolico di grande impatto emotivo: il Bacio. A un’altra parete ammiro le opere dei Macchiaioli e, in contrasto con questi piccoli gioielli, mi soffermo infine su una grande opera pittorica, il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo. Sono così distratta dalle tante bellezze ammirate nelle sale, anche nell’intervallo tra le visite, che arrivo trafelata alla spiegazione su Hayez e mi rimane questo scarno messaggio. La malinconia è una donna che guarda ma non c’è. Le odalische sono un soggetto ricorrente in diversi quadri del pittore, per un breve periodo artistico il suo lavoro sembra si svolga in un harem, invece che in un atelier.

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Eva Susner infine ci fa fare un percorso a ritroso nel tempo e nello spazio della Pinacoteca. Torniamo infatti alla sala III e, con un nuovo tuffo nel passato, ammiriamo le opere della prolifica scuola veneta del Quattrocento. La Pietà di Giovanni Bellini, recentemente restaurata, fino a domenica prossima 13 luglio si trova inserita in un percorso particolare che celebra la nascita della pittura devozionale umanistica, l’abitudine di ritrarre l’immagine di Cristo per suscitare commozione e, appunto, devozione, sulla scia dell’iconografia più antica, bizantina e non solo. Gesù però non sembra morto in questo quadro: ha il corpo eretto, Maria e Giovanni lo sorreggono senza sforzo, sembra vogliano parlargli o baciarlo, trasmettendogli un grande amore particolarmente evidente da vicino, perché il quadro è a grandezza e ad altezza naturale.

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Affetto, commozione, sentimento ci arrivano anche dalle parole di Eva, grazie alla quale possiamo letteralmente “sentire il respiro” di Gesù attraverso il quadro del Bellini trasportato al giorno d’oggi. Eva ci descrive la sua emozione di mamma, quando la sera porta a letto le sue due bambine piccole e vuole essere sicura che dormano, per questo le osserva mentre il piccolo petto sale e scende, in silenzio. Allo stesso modo nel quadro Maria guarda il petto del figlio Gesù: lei appare più giovane e lui, seppur trentatreenne, più anziano, al contrario di oggi quando figli piccoli hanno accanto vecchie madri. Nella Pietà di Giovanni Bellini la vita e la morte si sfiorano e si intersecano, come se Gesù sapesse che la vita, alla fine, trionferà sulla morte.

E Mantegna? Mi faccio portare alla sala VI, l’allestimento attuale è sicuramente diverso da quello degli anni 80 e ora il Cristo Morto se ne sta ben protetto dietro un vetro, in un angolo scuro. Esco felice dopo avere rivisto “lui”, ma sono felice anche perché ho rivisto e riconosciuto Raffaello, Piero della Francesca, Caravaggio e tutti i grandi maestri della pittura veneta, nessuno escluso, in una carrellata di artisti completa, ricchissima ma per nulla stancante, a differenza di altri grandi musei.

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Le visite guidate alla Pinacoteca di Brera iniziano alle 17, vi si accede a gruppi di 15 persone al massimo e su prenotazione, con un biglietto gratuito. Vengono raccontate tre opere per volta, alle ore 17, 17,45 e 18,15. I visitatori possono fotografare le opere esposte con smartphone e tablet, per condividere le immagini sui social network attraverso l’hashtag #raccontamibrera. I prossimi appuntamenti di Raccontami Brera sono previsti il 12 e 26 luglio, il 9 e 23 agosto, sempre di sabato pomeriggio.

 

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