Il primo giorno di Turivers14 si svolge tra Correzzola, Chioggia, Candiana: Benvenuti nell’Antico Dogado!
La corte benedettina di Correzzola ci apre le porte venerdì mattina per la visita, ci siamo arrivati la sera prima e abbiamo dormito benissimo, ha ben 57 posti letto ed è un posto molto comodo per alloggiare. Una parte del complesso è ancora in restauro, esso corrisponde alle antiche scuderie che all’epoca ospitavano centinaia di cavalli adibiti a mezzo di lavoro e di trasporto.
La storia di Correzzola “affonda”, ed è proprio il caso di dirlo, addirittura ai Paleoveneti, prima dei Romani. Entrambi i popoli hanno lasciato segni della loro presenza, con reperti archeologici che oggi sono visibili al museo allestito nella Biblioteca comunale. I Romani qui insediati la chiamarono “Corrigium” ovvero piccola striscia di terra tra due fiumi, nel nostro caso Adige e Bacchiglione. Le alluvioni erano all’ordine del giorno e vanificavano le prime bonifiche attuate per rendere coltivabile il terreno.
L’aspetto odierno della Corte è dovuto alla forte e duratura presenza dei monaci benedettini, che riscattò gli anni oscuri delle invasioni barbariche e per oltre 600 anni, in convivenza con lo Stato a cui la corte apparteneva (la Serenissima Repubblica di Venezia) ebbero cura dell’area e la resero un piccolo scrigno di operosità e ricchezza agricola, secondo il motto “Ora et labora” che in fin dei conti vale anche per gli abitanti di oggi. Il risultato, impressionante per l’epoca, fu molteplice: bonifiche efficaci e costruzione di una novantina di case coloniche, poi corti; oggi ne sopravvivono circa 70 riunite nell’Associazione Corti Benedettine. Nell’ultimo secolo un modello sociale ed economico simile si ritrova nei Kolkotz e nei Kibbutz, che ora forse sappiamo da chi si sono ispirati.
Tutto nacque a partire dalla donazione della contessa Sanbonifacio di Verona ai monaci della basilica di Santa Giustina a Padova, avvenuta nel 1129. Le frazioni (Civè, Concadalbero, Villa del Bosco, Brenta d’Abbà) crebbero e prosperarono con attività agricole e allevamento, ma la grande opera, tra i maggiori complessi rurali del Lombardo Veneto, è proprio la Corte Benedettina che fu costruita tra il XV e il XVII secolo. Essa segue nelle sue forme curvilinee il corso del fiume, come a segnalare il rispetto e la necessaria convivenza dell’uomo con la natura.
Mi sorprende l’ampiezza degli edifici civili in confronto alla piccola cappella, che mi viene spiegata con la necessità di utilizzare il luogo a fini economici più che religiosi, cioè per il mantenimento dell’ordine di Santa Giustina. I contadini avevano in affitto le terre da coltivare e avevano il privilegio di una vera casa, molto meglio dei loro vicini che abitavano casoni col pavimento in terra battuta, le pareti e il tetto di paglia. Ogni corte aveva una parte centrale aperta (cortile) circondato da un porticato, era dedicata a un santo la cui immagine affrescata appariva a una parete.
Nel 1797 Napoleone pone fine alla Serenissima, aiutato qui dai lombardi Duchi Melzi d’Eril, l’ordine è sospeso e i duchi rimangono a Correzzola, prendendo il posto dei monaci fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale e continuandone l’opera. Villa Melzi era il nome della corte in questo periodo. Il passaggio della corte allo Stato ne segna il temporaneo abbandono fino agli anni ’90 quando non solo si scampa il pericolo dell’abbandono e della demolizione del complesso, ma ne inizia la rinascita graduale “pezzo per pezzo” sino al 2000 quando i fondi per il Giubileo le danno l’aspetto odierno e ne fanno il centro del paese, con molteplici funzioni di Municipio, Biblioteca, alloggio, scuola e anche bellissimo centro d’aggregazione per la popolazione.
La Biblioteca con i testi da consultare al piano terra, libri più antichi e reperti archeologici al primo piano, abbellito dagli affreschi del ‘600 con scene esotiche.
La storia del complesso, avvincente e reale perché Cristina e i suoi concittadini ce la raccontano, è resa ancora più viva durante la nostra visita, circondati dagli impiegati del Comune al lavoro nel palazzo. Numerose stanze sono abbellite da antichi caminetti…
o dalle parole del Padre Nostro da recitare…
o ancora dalle stupende immagini delle isole della Laguna veneta, quasi uguali a come le vediamo oggi.
Una mostra diversa ci riporta agli orrori della guerra con la storia di Sadako Sasaki, la coraggiosa ragazza giapponese che, vittima delle radiazioni conseguenti la bomba atomica di Hiroshima, quando si ammalò produsse con le proprie mani oltre mille gru di carta con la speranza di vedere poi esaudito un desiderio. La gru simbolo di lunga vita però non l’aiutò nella battaglia contro il male che, nonostante l’abbia infine sconfitta, ne ha fatto un simbolo di pace.
Il ricordo di Sadako Sasaki infatti è ancora vivo nei ragazzi giapponesi di oggi. La mostra sarà aperta fino al 15 gennaio 2015.
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