La mamma di Maria sei mesi fa è andata al mercato del paese, ha visto una bella scrofa cicciottella e l’ha comprata. Lei mangiava e cresceva, cresceva e mangiava finché hanno capito che era incinta e a giugno ha sfornato sei lattonzoli. Bellissimi col manto maculato chiaro e scuro come lei, quattro maschi e due femmine.

Questi animali sono i miei preferiti alla fattoria

Anche se un giorno saranno “sacrificati” come dicono qui credo vivano bene e trasmettano una carica affettiva alle persone umane, proprio come i cani e i gatti che noi chiamiamo “animali da affezione” per contrapporli agli “animali da reddito” un termine tecnico necessario ma non sempre calzante. Se noi siamo abituati a tenerci vicino cani e gatti che ci fanno le coccole, quando vado a trovare la scrofa e i due lattonzoli che le sono rimasti questi mi vengono incontro (sperando che dia loro da mangiare) e salgono sullo steccato del recinto, insomma si fanno coccolare. Non dico che io voglia sbaciucchiarli ma li accarezzo volentieri e loro si lasciano fare. Gli altri due maschi e le due femmine sono stati venduti, questi due sono stati castrati così crescono meglio e danno una carne tecnicamente migliore.

Nonostante abbia studiato tecnologie alimentari all’Università

E abbia solo sfiorato le tematiche di agricoltura e zootecnia, sento che molti concetti sono rimasti nella mia testa, ordinati come le cose a cui tengo, e ora li tiro fuori spesso sia al lavoro sia qui in questo piccolo paradiso al confine tra Romania e Moldavia (una prossima destinazione). Mi sento fortunata per avere studiato queste cose e poterle usare, anche a 24 anni dalla laurea, per me è motivo di soddisfazione. Solo l’erba medica mi è sfuggita e il primo giorno l’ho confusa, non so come, col trifoglio. Per il resto riconosco gli animali (questo è facile) e le piante, più difficile ma basta farci l’occhio e almeno ricondurli a famiglie, gruppi omogenei da cui poi si ramificano le varie specie, è un esercizio in sostanza. E qui c’è un sacco di cose su cui posso esercitarmi!

L’indipendenza della fattoria per quanto concerne l’approvvigionamento di alimenti è straordinaria

Delle bevande ho già parlato, lo shottino di grappa prima di ogni pasto (colazione inclusa, proprio come fosse uno sciroppo o un ricostituente) è la riprova della salubrità di ciò che si produce qui.

Gli spazi sono concepiti all’insegna di razionalità ed efficienza

La convivenza tra persone e animali è perfetta tanto che per esempio, gli insetti che stanno fuori non danno noia minimamente perché ognuno fa il suo mestiere. E se mentre siamo a tavola, nella cucina esterna meravigliosa dove si mangia nei mesi caldi, vengono a trovarci due faraone poco male, c’è qualcosa anche per loro. Oltre che per i due cani e i cinque gatti che fanno compagnia a grandi e piccini. La terra dà da mangiare a tutti, prima che arrivassi io hanno raccolto i tuberi, li hanno puliti e preparati per il magazzinaggio dei prossimi mesi, in spazi appositi separati, freschi e ventilati. Ogni giorno c’è una verdura diversa da assaggiare che si prende nell’orto, si prepara (ho imparato qualcosa poi vedrò di mettere in pratica queste ricette rumene), si mangia. Se possibile si scalda nella cucina economica fatta da loro, con lamiera tagliata, ceramica e ghisa. Ha la fornacella e i cerchi com’ero abituata a vedere da noi, ammesso che si usi ancora almeno per fare la polenta (vedere oltre), a lato ha un piccolo forno per cuocere il pane e la carne. Che vengono benissimo. Alimentata principalmente coi tutoli delle pannocchie, la stufa mantiene il calore per ore. Ci ho visto cucinare di tutto, anche le pere sciroppate che mi hanno ispirato da pazzi e che spero di fare con i miei frutti appena torno in Italia.

Quel che non si ripropone a tavola si dà alle bestie

In un cerchio ideale di consumo senza sprechi che è la chiave del successo di questo modello agricolo. Quando però vedo non una, ma due generazioni costrette a emigrare, anche se per pochi anni finché avranno guadagnato abbastanza da investire a casa, mi chiedo cosa sarà di loro, dei vecchi e dei bambini che restano qui, non soli ma nemmeno supportati dagli adulti. Ci vorrebbero centri diurni e spazi di aggregazione ma servono soldi, mentre il governo costruisce in città e la chiesa mette a posto i luoghi di culto, anche coi soldi dei fedeli. Pochi vogliono rimanere in campagna, diciamo per motivi economici, ed è pieno di luoghi abbandonati di cui parlerò in un post dedicato perché ho appreso mille cose sull’argomento. Speriamo non mi dicano che si fa troppa fatica anche se un poco è vero, lo spopolamento c’è stato pure da noi e per fortuna ora assistiamo al ritorno alla terra. Chissà cosa succederà qui.

Mucche e capre non ci sono nella fattoria di Maria

Questa famiglia è organizzata soprattutto con gli animali da cortile mentre servirebbero altre risorse per portare quegli animali al pascolo, come fanno i vicini. Se hanno la loro terra ok, altrimenti pagano un diritto di passo ai proprietari dei fondi, o una piccola tassa al comune, per poter nutrire il bestiame con erba fresca. I pastori escono al mattino presto e a volte rientrano insieme la sera, ma alcune bestie hanno imparato la strada e rientrano da sole all’ovile.

C’è infine un prodotto simbolico qui come da noi

Che merita una divagazione personale. Un piatto dei poveri ma per me sempre buono purché si mangi con parsimonia, non come in passato quand’era un alimento quasi unico e creò deficit nutrizionali, nonché una cattiva fama (!!!) per i miei compaesani. Qui si chiama con un nome bellissimo foriero di altri ricordi personali, per noi è semplicemente la polenta. Fatta col mais proprio, macinato né grosso né fino, che bolle in pentola per venti minuti e si mette in tavola. Mamaliga è il nome locale, un nome moldavo non rumeno che conosco da quasi dieci anni quando un amico conosciuto per poco, ma che sento ancora con estremo piacere, ne fece addirittura il titolo di un cortometraggio. Mamaliga blues è la storia di Cassio Tolpolar, ebreo moldavo i cui nonni scapparono in Brasile nel 1931 per sfuggire alle persecuzioni naziste. Lui è nato a Porto Alegre e ha sentito per anni i racconti di coloro che si sono salvati diversamente da tanti altri moldavi, e che nel 2001 l’ha riportato in terra natia. Cassio ha ripreso i luoghi d’origine della famiglia, ne è nato un libro e un film. Cercatelo su internet, non sarà famoso come un altro film del genere che ho tanto amato, Ogni cosa è illuminata (ricordate la colonna sonora dei Gogol Bordello?) ma vi assicuro che merita. Per questo sono sempre più contenta di essere qui, e preparatevi che ho ancora tante storie da raccontare.

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