Vi risparmio le insegne Armani, Gucci, Max Mara e le vetrine luccicanti delle catene di hotel cinque stelle lusso che si alternano nei viali del centro di Bucarest, mi fanno tristezza anche se mi rendo conto che servano. Molto meglio gli hotel, pretenziosi o meno, che punteggiano angoli più nascosti. Ristoranti e caffetterie seguono lo stesso schema e in tal senso io sono meno coerente: in due giorni ho preso un caffè da passeggio al minimarket e due caffè da altrettante catene. Essere Starbucks addicted è una colpa, come mi fanno notare in Italia e come mi hanno detto qui. What a shame, proprio queste parole, ma è così, continuo a cercare la medusa verde e nera, in Calea Victoriei non avevano la tazza, peccato perché avrei preso pure quella per la mia collezione.

rom90

E il parrucchiere? Ho imparato la differenza tra frisor e coiffeur (M/F)

Mi sono imbattuta dapprima in un parrucchiere figo e carissimo, poi per fortuna ho trovato quello giusto ma non mi voleva accogliere a metà pomeriggio di sabato (poi ha detto ok). Non sapeva che avevo metà euro e metà lei per pagarlo, ha fatto il suo lavoro con lenta dedizione parlando un po’ con me – del bellissimo concerto di Rihanna per esempio – e intrattenendo un vecchietto che pensava di farsi una rifilatina alla testa e passarmi avanti (ma non ho voluto). Bellino il giovane parrucchiere, moro e con una banana ben arricciata sul davanti. Non conosce l’Italia, è appena tornato da una settimana in Grecia con amici, penso sia stato a Mykonos…

Sta all’incrocio tra Regina Elisabeta e Mihail Kogalniceanu, lo consiglio. Andare dal parrucchiere è il modo migliore di concludere la visita a una città. Uscita con la mia bella testolina nuova attraverso il ponte sul fiume Dambovita e mi dirigo verso l’enorme palazzo presidenziale che purtroppo chiude alle ore 17, un monumento da vedere anche godendosi il giardino immenso che lo circonda, dove mi imbatto nei primi sposi della giornata, a cui seguiranno altre due coppie. A metà pomeriggio la città si è svuotata ed è rimasta in balia dei turisti, la luce dei palazzi è stupenda e i riflessi sul fiume ancor di più. Risalgo verso nord per vedere meglio quelle che dovrebbero essere le vie dello shopping e del buon cibo come strada Franceza, Mihail Voda e Lipscani.

Francamente come ho scritto non subisco il fascino delle insegne

I tavolini fuori mi sembrano tutti uguali. Il fascino del locale storico mi porta invece da Cara cu Bere che vuol dire “il carrello per la birra”, una birreria storica aperta alla fine dell’Ottocento, quando la preziosa bevanda era trasportata fin qui su piccoli carrelli su rotaia. Ora è molto un locale per turisti ma è bellissimo da visitare e la birra è ottima.

Mi fermo solo mezz’ora e poco prima delle ore 18 mi affretto a raggiungere Piata Universitatii, dove è finito il free tour di stamattina e dove dovrebbe iniziare il cosiddetto Alternative tour di Opendoors, la compagnia che organizza giri ed escursioni, gratuiti e a pagamento, sia nella capitale sia a Brasov. Il catalogo include tour per famiglie con bimbi e in bicicletta. Li ho trovati pubblicizzati sulla cartina che mi hanno gentilmente fornito in ostello, ho chiesto per email se potevo partecipare e mi hanno risposto Please feel free to join in. Però alle 18,05 non c’è più nessuno, mi guardo intorno e aspetto fino alle 18,30 poi con una email chiarificatrice vengo a sapere che l’altro ospite aveva il diritto di partire all’orario giusto, in effetti… Sarà per la prossima volta, quando proverò il Communist Tour o il Jewish tour. A proposito…

Tengo la sinagoga come ultimissima visita da fare domenica mattina (ma non mi fanno entrare!) prima di prendere il bus express che in un’ora scarsa mi porta all’aeroporto, con soli 8,60 lei inclusa la card dei trasporti ricaricabile. Il bus 783 si può prendere nelle quattro piazze principali del centro che sono anche fermate della metro, da nord a sud: Piata Victoriei, Piata Romana, Piata Universitatii, Piata Unirii. Includetele nella visita di Bucarest perché sono belle anche se non sempre hanno intorno edifici storici, vi si dipartono grandi boulevard tutti diversi, il mio preferito è Lascar Calargiu, un bel viale alberato costellato da palazzi residenziali.

Voglio dedicare due parole all’ostello dove ho alloggiato e ai suoi “abitanti”: l’ho scelto perché:

  • mi dava la possibilità di alloggiare in stanza singola, seppure col bagno condiviso,
  • è in centro in una zona tranquilla,
  • è raggiungibile coi mezzi dalla stazione dei treni e dei bus, ma anche a piedi in meno di mezz’ora.

Intuivo però che fosse un posto strano, e avevo ragione. Olive Guesthouse mi accoglie venerdì sera col silenzio quasi spettrale di una zona residenziale, col figlio del padrone che pare chiedersi “che ci faccio qui” e l’odore di chiuso mescolato a un poco riconoscibile profumo, che potrebbe essere deodorante per ambienti o insetticida. Condizionata in questo modo entro nella mia stanza pulita appena a sufficienza, uso la mia biancheria e prima di andare a letto trovo piccoli insetti che si arrampicano sulle pareti, pochi ma sufficienti a spaventarmi, infatti dormo poco e male. Ma dev’esserci un’aria molto frizzante e un caffè forte a Bucarest perché sto in giro 12 ore e seppur stanca, la seconda sera faccio fatica ad addormentarmi ma poi tutto ok, e sono spariti i piccoli ospiti del giorno prima. Tutto ok anche col padrone a cui esterno i miei problemi prima per telefono, poi di persona al check out. Christian mi racconta la sua storia familiare, la casa e la terra in Transilvania che non può curare, questa sua casa di tre piani dove vive col figlio e che ha attrezzato in parte a ostello. L’edificio è del 1850 e avrebbe bisogno di tanti lavori, ne so qualcosa perché non poterseli permettere è frustrante, ma l’importante è che facciamo pace e che io possa partire contenta, sollevata. Non credo sarei passata di qua se non avessi alloggiato qui, se vi accontentate di una sistemazione “molto basic” ve lo consiglio assolutamente e vi godrete una zona stupenda di Bucarest. Bohémien e radical chic come piace a me è il giusto compromesso tra la genuinità del passato e la realtà moderna, in attesa che diventi un posto figo e metà degli abitanti debba traslocare. Gentrification si chiama il fenomeno, vedete queste foto…

Quanto mi è piaciuta Bucarest?

Molto, alla fine dell’estate è davvero godibile, con giornate lunghe e tiepide senza folla. L’ho solo “assaggiata” e credo di non avere mai visto una capitale in modo così sciallo, ho scelto di non correre facendomi in parte trasportare dagli altri. Bella la città vecchia con statue che celebrano i rumeni illustri (ma per me illustri sconosciuti), antiche rovine, globalmente ne ho apprezzato gli aspetti maestosi e la ricchezza degli edifici, i luoghi di culto e le opere di Ceausescu (!!!), il travaglio storico dell’ultimo secolo, la cura del verde con grandi parchi e piccoli giardini attrezzati dove si sta bene dal mattino alla sera.

La voglia di emergere della gente è evidente

Ma purtroppo a volte essi si mettono in mani sbagliate come succede dappertutto, così molti negozi sono chiusi e si vedono le insegne DE VANZARI, si vende, ma non tante quanto da noi. Povertà e miseria fanno da contraltare ai musei e alla cultura in generale, all’arricchimento di alcuni con le auto perfette status symbol. Ma quante persone sono cadute in rovina stando qui o arrivandoci senza trovare la loro strada, la dura legge della città uguale in tutto il mondo.

Quanto tempo ci vuole per visitare la capitale rumena?

Direi almeno tre giorni e un paio di giorni ulteriori per escursioni nei dintorni, in auto o coi mezzi pubblici. Treni e bus funzionano e sono economici (es. 18 euro per 500 km circa da Iasi a Bucarest in treno), almeno quelli che ho usato io, così come i taxi in città costano poco (10 – 20 lei per una corsa di media percorrenza).

A Bucarest ho trovato un po’ di Milano, un po’ de l’Avana e tanto di Parigi

Con cose francesi scimmiottate e patetiche, va beh contenti loro… Ci tornerò per entrare più a contatto con la gente, con la curiosità di spingermi oltre le parti centrali. Magari in un’altra stagione, col freddo chissà com’è?

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