A maggio aprono i padiglioni della Biennale di Venezia: questo è l’anno dell’Architettura, edizione numero sedici. Nei medesimi giorni alla Collezione Guggenheim, la casa di Peggy Guggenheim a Venezia, viene inaugurata una nuova mostra: l’anno scorso era la Luce Filante di Marc Tobey, quest’anno è il turno di Josef Albers (1888 – 1976), artista tedesco poco conosciuto e per questo molto interessante. In un certo senso il suo percorso artistico assomiglia a quello di alcuni suoi contemporanei, nati e cresciuti in Europa, costretti ad andare in America prima della guerra e ritornati, a volte, dopo il secondo conflitto mondiale. La retrospettiva accosta le sue diverse espressioni artistiche: pittura astratta, fotocollage e fotografie scattate compulsivamente e copiosamente con la Leica nei siti archeologici messicani, nel corso di ben quattordici viaggi compiuti con la moglie Anni Albers tra gli anni Trenta e Sessanta. Particolarmente interessanti sono le griglie con i fotocollage in sequenza: esse invece di imprigionare momenti e monumenti liberano le immagini, le mettono in movimento diventando precursori dei film.

Josef Albers aveva operato in Germania fino al 1933 per proseguire (a seguito della chiusura del Bauhaus da parte dei nazisti) l’attività didattica e artistica negli Stati Uniti. Dal Bauhaus a Yale egli ha continuato ad ampliare i suoi orizzonti, con un richiamo costante ai colleghi surrealisti con cui si era formato: Klee, Malevic, Mondrian e soprattutto Vasily Kandinsky. Le Varianti prima, negli anni 50 – 60 e l’Omaggio al Quadrato poi, negli anni 60 – 70 sono due serie di opere rappresentate in numerose variazioni. Delle forme del quadrato sono esposte in mostra otto quadri, di proporzioni geometriche precise e dalle luci e colori brillanti. La sua pittura astratta richiama l’architettura mesoamericana e rappresenta la parte finale del suo percorso artistico negli anni Settanta.

La sua fonte di ispirazione venne proprio dalle architetture precolombiane: Albers definiva il Messico una terra promessa. E la realtà dei santuari e delle piramidi appartenuti alle civiltà azteche, maya e zapoteche sono stati per trent’anni un modello preciso per lui e la moglie. Josef e Anni trascorrevano le giornate in viaggio, percorrendo i villaggi messicani con le loro semplici architetture popolari. E si fermavano lungamente ad osservare e fotografare dall’alto gli scavi archeologici dei siti di Chichen Itza, Mitla, Monte Alban, Tenayuca, Teotihuacan, Uxmal. Riportati poi sulle opere che vediamo in mostra, provenienti in massima parte dalla Fondazione Anni e Josef Albers e dal Museo Solomon Guggenheim di New York (che ha esposto nei mesi scorsi). La mostra Josef Albers in Mexico è curata da Lauren Hinkson.

La conferenza stampa di presentazione ha avuto luogo lo scorso venerdì 18 maggio sulla terrazza della collezione Peggy Guggenheim, dalla quale la vista spazia su un angolo straordinario del Canal Grande. Una settimana dopo, nelle Project Rooms è stata aperta la mostra 1948: la Biennale di Peggy Guggenheim in occasione del settantesimo anniversario della Biennale di Venezia, dove Peggy espose per la prima volta nel padiglione della Grecia. L’allestimento originario era di Carlo Scarpa e vi sono sia opere presenti nelle collezioni permanenti, sia opere provenienti dal Museo d’Arte di Tel Aviv. Un motivo in più per visitare questo museo ricchissimo e unico.

Per sapere di più:

https://www.guggenheim.org/exhibition/josef-albers-in-mexico

http://www.albersfoundation.org/

https://www.nytimes.com/2017/12/14/arts/design/josef-albers-mexico-guggenheim-museum-homage-to-the-square-mesoamerica.html

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