Io che soffro d’insonnia, io che non dormo bene nemmeno nel letto di casa, io che in questo viaggio non avevo ancora avuto un sonno continuato, proprio in treno – il posto più scomodo – crollo prima degli altri. Dormo come un ghiro, all’alba sono gli altri a svegliarmi: prima delle 5 dovremmo essere a Satna, pronti per scendere. Invece il treno è in mostruoso ritardo, cerco un controllore in tutti gli scompartimenti, l’unica persona in divisa dorme e non parla inglese ma mi fa capire che arriveremo 3h più tardi del previsto, dopo le 8. Scendiamo infine dal treno con la consueta confusione attorno a noi, trovo il pulmino e due autisti che purtroppo… non parlano inglese. Ma ci capiamo e ci accontentano subito: facciamo colazione prima di andare a Khajuraho. Abbiamo il caffè, tè, biscotti avanzati dalla sera prima, siamo stanchi ma l’India ci ha fatto bene, ci ha rasserenati e uniti, inoltre il bellissimo dolce paesaggio aiuta. La tabella di marcia ci costringe a focalizzare la visita solo sui templi occidentali di Khajuraho, i più importanti e famosi, dove arriviamo a mezzogiorno.

La storica guida di avventure ci accoglie al parcheggio e ci porta in giro descrivendo i templi in un italiano pulito, dimostrando un’ottima conoscenza del nostro paese e raccontandoci le attività di famiglia (hanno un centro di cure e massaggi, spesso vengono in Italia per fare seminari e corsi di formazione). Questo complesso meriterebbe un’intera giornata di visita per apprezzarne i dettagli architettonici, la ricchezza iconografica al di là delle sculture erotiche, l’impianto urbanistico. Noi abbiamo dedicato più tempo a Varanasi, non sapendo che saremmo arrivati qui troppo tardi per vedere tutto. Ci rimettiamo in viaggio, il tragitto per Orchha è lungo e c’è il vero traffico indiano (allucinante). Arriviamo quasi alle 20, molliamo i bagagli in stanza e ceniamo in hotel con un buffet buono ma caro; andiamo a letto presto anche se in terrazza c’è un invitante spettacolo di danza e musica.

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L’indomani mi alzo presto, esco per vedere i palazzi riflessi nell’acqua del fiume ma è in secca, vedo solo il mausoleo con le sue cinque affascinanti cupole. Dopo una colazione scarsa usciamo a visitare il complesso del palazzo cinto da possenti mura, che domina la vallata sino al fiume. La foschia annulla i colori e toglie buona parte delle prospettive.

L’architettura dell’India del nord è ricca di complessi come Orchha, città fortezze caratterizzate da una netta suddivisione tra edifici civili e religiosi, cucine, sale per gli ospiti, per gli uomini e le molte mogli del sovrano. Orgogliosi e indipendenti, gli indiani ebbero per secoli una storia travagliata, fatta di intensi scambi commerciali con Europa, Paesi arabi ed estremo oriente: non cedettero agli attacchi dei musulmani ma poi per oltre un secolo caddero sotto il dominio inglese. All’epoca d’oro, nel palazzo di Orchha tutte le superfici brillavano di specchi e pietre preziose, candele e incensi profumavano l’aria, sete e broccati erano appesi alle pareti, tappeti ornavano i pavimenti in pregiato marmo indiano. Oggi resta poco di tanta ricchezza ma, con l’aiuto di una buona guida, possiamo immaginare come si svolgesse la vita qui. Alle antiche moschee si accede attraverso un mercatino all’aperto con spezie, frutta e verdura.

A metà mattina riprendiamo la strada per Gwalior, arriviamo dopo le 14 e siamo accolti da presunte guide poco comprensibili. Non so chi scegliere, sarebbe meglio stare soli ma mi avvicina un ragazzino con in mano una guida fotocopiata di avventure: è bravissimo e preciso, ci porta in giro per il percorso breve, poi incalzato dalle nostre domande ci fa vedere tutto il sito, e solo alle luci del tramonto ci consiglia di metterci in cammino per Agra. Ci svela tanti aspetti di Gwalior: i meccanismi per tutelare il sovrano durante le battute di caccia, gli spazi requisiti dagli inglesi per farne una guarnigione (ora trascurata), la salita riservata agli elefanti, i sofisticati meccanismi di comunicazione e allarme, all’avanguardia per l’epoca.

Il gruppo è soddisfatto anche se, attardati in questa visita, perdiamo la passeggiata sul viale ornato di grandi statue giainiste. Peccato, ma stasera ci attende Agra, la città del Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo. Il percorso è più lungo del previsto e la mia idea geniale di dormire vicino al Taj ha due controindicazioni: nessun negozio o ristorante nelle vicinanze, e una zona protetta dalle auto nei 2 km intorno al monumento, che impedisce al nostro pulmino di avvicinarsi all’hotel. Dapprima pensiamo di prendere dei rickshaw (senza motore, con i bagagli appresso) o farci venire a prendere dall’hotel con un pulmino ecologico (se esistono). L’autista trova il modo per portarci, posiamo le cose in hotel poi usciamo per cena, sempre con il pulmino. Domani ci sarà una nuova emozione per noi: il grande giorno del Taj Mahal è arrivato!

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