Domani 19 marzo sarà la festa del papà, nel giorno dedicato a San Giuseppe si celebra una festa religiosa importante. Due anni fa mi trovavo in provincia di Trapani con amici di viaggio, mi son fatta prendere per mano dal padrone di casa alla scoperta di una Sicilia minore ricca di storia e tradizione. Giuseppe sta a Balestrate a metà strada tra Trapani e Palermo, per il nome che porta era anche la sua festa, noi lo abbiamo un po’ coccolato e lui ha gradito. Ha dato un titolo eloquente al nostro fine settimana: Pani e panorami, poi la natura che sbocciava e l’inizio della primavera hanno reso perfetto il tempo trascorso insieme. Abbiamo visto un po’ di tutto tra cieli azzurri e fiori chiari, rovine antiche e recenti, suggestioni vicine e lontane nel tempo. Alla fine ci siamo soffermati sulle conseguenze del sisma che nel 1968, quando sono nata, ha distrutto il Belice, ha costretto la gente a cercare una nuova casa, nuove vie di comunicazione, nuovi stili di vita. Dopo un terremoto è sempre necessario confrontarsi diversamente col proprio territorio, e se questo non è gestito bene la gente ne paga le conseguenze; in parte se ne vedono ancora le tracce, ma lo scopriremo solo alla fine.

Salemi è una cittadina di antiche origini ma con un impianto urbano medievale, oggi conta circa 10000 abitanti e dal 2016 fa parte dei Borghi più belli d’Italia. Il centro storico fatto di viuzze e scalette è arroccato su una rupe circondata da fertili campagne. Abitato sin dai tempi dei greci (e addirittura anteriormente), che qui vicino hanno lasciato i templi di Segesta e Selinunte, è stato poi modellato dagli Arabi e minacciato da conquistatori lontani come i Turchi, e vicini come Aragonesi, Normanni e Borboni. Tutti questi popoli hanno fatto di Salemi un incrocio di civiltà, culture e religioni particolarmente riuscito e ci hanno lasciato splendidi edifici, chiese e palazzi. Li ammiriamo andando a passeggio per i vicoli del borgo, per poi curiosare al loro interno. La Chiesa Madre è dedicata a San Nicola, il Castello normanno in posizione dominante sulla vallata è oggi sede di mostre temporanee. Tra le sedi museali quella dedicata al pane sarebbe da vedere, perché si tratta di una tradizione dal significato profondo, assai radicata in Sicilia. Noi in realtà li vediamo esposti in tante case proprio per la ricorrenza di San Giuseppe, dove si trovano gli altari votivi in legno decorati coi pani di varie fogge, colorati da agrumi e foglie fresche, una vera meraviglia.

Se volete invece vedere un’esposizione permanente che vi farà pensare consiglio il Museo della Mafia, unico nel suo genere. Io l’ho visitato con la curiosità di chi ricorda tante malefatte di Cosa Nostra e la consapevolezza che della mafia non sappiamo mai abbastanza. Prime pagine dei giornali, testimonianze d’archivio e spazi multimediali si susseguono e possono impressionare per la crudezza di certe immagini, ma pensate cosa devono vivere le vittime di questa piaga che è stata chiamata Piovra, che ha esteso i tentacoli in tutto il mondo e che sarà un bel giorno se sarà sterminata, eliminata, cancellata dalla faccia della terra. Non so se questo accadrà ma sono contenta di ritrarre ancora una volta Falcone e Borsellino qui, tra le stanze del museo.

Le conseguenze del terremoto del 1968 si vedono sia qui, dove restano solo alcune parti dell’antico duomo, sia nella vicina Gibellina che è stata invece rasa al suolo e, nell’ottica di ricostruzione e di rinnovamento, è stata costruita proprio qui presso Salemi e si chiama Gibellina nuova. Ha solo 4000 abitanti, non so se è un luogo da visitare ma vi consiglio di andarci. Noi ci siamo arrivati al crepuscolo e ci siamo concentrati sulla visita di un luogo di culto nuovissimo, la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni che stranamente mi è piaciuta molto. Non vi ricorda una moschea? Guardate le immagini…

Ho trovato anche qui una forma di sincretismo che in Sicilia mi aspettavo, ma che comunque mi ha colpito, assieme alla visione delle opere di scultori e artisti contemporanei come la Porta del Belice di Pietro Consagra, che dopo il sisma hanno prestato il loro talento per “abbellire” la città nuova, distante una decina di chilometri da Gibellina vecchia. E di questa cosa resta? Il Cretto di Burri, un’altra opera di impatto che può piacere o meno a seconda di come ce la spiegano e come la viviamo. A me il cretto è piaciuto, pur essendo un luogo spettrale e in buona sostanza abbandonato l’ho trovato affascinante. Anche qui le immagini parlano da sé…

Il cretto è una gigantesca colata di cemento bianco con cui Alberto Burri ha ricoperto le case di Gibellina vecchia crollate con il terremoto, per fissarne per sempre le fattezze di un tempo, per dare una sorta di sepoltura, per mettere un lenzuolo sul paese morto. Una coperta chiara che il tempo ha scurito e la natura si è gradualmente ripresa, coprendo a sua volta con piante sempre più esuberanti le crepe che si sono aperte, lentamente e inevitabilmente, tra le vecchie pietre. Le percorriamo a piedi in silenzio cercando di immaginare com’era il paese fino a cinquanta anni fa, sollevando lo sguardo sopra il nuovo tetto delle case, fissato a poco più di un metro e mezzo d’altezza, salendo a fatica le ripide viuzze sino a vedere il sito dall’alto. Prendetelo in salita come abbiamo fatto noi, per me è il modo più affascinante di vederlo, più vivo e dinamico che non dalla sommità della collina, dove appare uno spazio infinito dominato da una natura sempre più verde e forte.

Certo se fosse ben segnalato, spiegato e raggiungibile sarebbe meglio, se ne parlerebbe di più e magari ci sarebbero più occasioni di vederlo. Ma la fruibilità è solo uno dei problemi della Sicilia, che spero di rivedere presto, sempre più bella e piena di vita.

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