Visitiamo di primo mattino Tombos con le antiche, ma oggi trascurate, cave di marmo. Il custode ci mostra gli interessanti geroglifici posti al confine tra la Nubia e l’alto Egitto. Solo 20 km a nord c’è la terza cataratta, in località Kagbar. Saliamo per vederla dalla cima del forte ottomano diroccato, una delle tante costruzioni che sorsero soprattutto ad opera di Musulmani e Turchi. C’è una bella visuale sul fiume e sul deserto anche se le acque sono poco impetuose in questa stagione. Cerchiamo un ponton, le vecchie chiatte che attraversano il Nilo utilizzate dai sudanesi come traghetto.


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Oggi i ponti hanno sostituito quasi completamente i ponton, rendendo il viaggio meno romantico per noi ma più efficiente per i sudanesi. L’unico rimasto è a Kukka, un piccolo porto in versione “minimal”, un luogo di passaggio e d’incontro.

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Vi si arriva con largo anticipo in attesa che, a un’ora poco definita, un barcone attracchi, scarichi cose e persone e ci faccia salire a bordo. Chiacchiero con tutti, faccio foto, mangio l’ottimo adis con Awad poi la gente accorre sulla riva. Tocca anche a noi salire a bordo a piedi mentre gli autisti si occupano delle Toyota. Dopo 1/2h di attraversamento sbarchiamo sulla sponda ovest, la West Bank che segna l’inizio del cosiddetto deserto libico, una sconfinata distesa di pietre e sabbia interrotta da alti rilievi rocciosi. La zona a nord del Sudan è percorsa più a dorso di cammello che con mezzi a motore.

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Carovane con centinaia di dromedari partono dalle coste del Mar Rosso e dal sud del Paese verso i mercati egiziani. Gli animali saranno venduti sia ad Assuan (Daraw) sia al Cairo e lungo la costa mediterranea. Questo durissimo percorso è chiamato “il cammino dei 40 giorni” dai cammellieri, molti animali non ce la fanno, stramazzano al suolo e sono abbandonati al loro destino, vediamo numerose carcasse di animali abbandonati.

Ma anche per le persone dev’essere un percorso difficile: incrociamo un pickup fermo, con un uomo che armeggia nel vano motore. Ci fermiamo, gli uomini del gruppo cercano una soluzione mentre io gioco a morra con le due donne sedute sul cassone del pickup, ho riscoperto questo passatempo pochi mesi prima nel viaggio in Mongolia, per ingannare il tempo in queste pause. La più giovane è moglie dell’autista, l’anziana è sua suocera e porta vistose scarificazioni sul volto. Sono belle, ben vestite, hanno lo smalto sulle unghie di colore intonato agli abiti, con la dignitosa semplicità tipica delle donne nubiane. La giovane parla bene l’inglese, mi racconta che è sposata da sette anni ma non ha figli, non dev’essere una cosa bella per loro. Eravamo giusti sulla tabella di marcia, speravamo di piantare le tende con la luce, quando capiamo che non possiamo risolvere il problema lasciamo il mezzo “nelle mani” di un camioncino di passaggio, l’autista saprà ripararlo.

Stiamo per finire le visite a carattere archeologico con gli ultimi siti all’estremo nord del Sudan, Seddinga, Sesibi e Soleb, oltre i quali ci sono solo Sai e Amara prima del confine egiziano di Wadi Halfa. I primi due siti sono poco più di colonne e si vedono da lontano. Il tempio di Soleb, invece, dedicato ad Amon, è in ottimo stato di conservazione e a mio parere è il tempio più bello di tutto il viaggio. Somiglia ai contemporanei templi di Luxor e Karnak anche se ne è stata portata alla luce solo una minima parte, presenta diversi ordini di colonnati riccamente decorati; i pezzi caduti a terra sono visibili ancora meglio. Tutto intorno c’è una città sommersa quasi completamente sotto la sabbia. Fantastico! Negli spostamenti di oggi abbiamo la fortuna di incrociare una decina di mandrie di dromedari che vanno a nord: centinaia di animali procedono in fila, ogni tanto si fermano a brucare dagli scarsi arbusti o a riposare.

A metà mattina il custode del tempio ci ospita nella sua bellissima casa e approfitto di fare il punto della situazione con il gruppo, seduti davanti a una tazza di tè. Mangiamo insieme adis e pane caldo, ripartiamo contenti, a breve distanza raggiungiamo Jebel Dosha dove altri geroglifici segnavano il confine tra la Nubia e l’Alto Egitto. Alcuni salgono in cima, io li aspetto alla base; approfitto per passeggiare scalza sul bordo del fiume e bagnarmi i piedi nel Nilo su una sabbia scura e soffice, mi rilasso, incurante di insetti e parassiti che si trovano nell’acqua. Alla fine sulla West Bank del Nilo passiamo 2g scarsi ma intensi, al ponton di Kukka abbiamo facciamo altri simpatici incontri, in attesa del traghetto e davanti a un caffè.

Il rientro a Khartoum è poco più di una corsa sull’asfalto nero, caldo, nuovissimo, dove sfrecciano rare auto e fuoristrada, ma più spesso carretti trainati da asini o anche solo asini con giovani e anziani a bordo, intenti a trasportare poche povere mercanzie chissà dove, chissà perché.

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Bancarelle improvvisate vi fanno da sfondo, dove acquistiamo frutta fresca (arance e datteri soprattutto) per nulla economica.

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Incrociamo un paio di gruppi Avventure che stanno rientrando pure loro, facciamo un rapido scambio di battute e commenti da fine viaggio, già. A noi attende il souk di Omdurman, che abbiamo programmato per l’ultimo pomeriggio disponibile, venerdì.

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Salaam Sudan

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2 comments

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Che meraviglia.
Ti invidio non poco

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non invidiarmi narrabondo. prendi e parti che il mondo è piccolo, molto più piccolo di quanto pensiamo

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