Santo Antão è descritta come una delle isole più belle, e con tante aspettative martedì mattina ci avviamo di buon’ora a prendere il traghetto che incredibilmente parte puntuale. Siamo stipati come sardine, circondati da capoverdiani carichi di mercanzie d’ogni genere, comprese due galline tenute al guinzaglio per le zampe.

Sono vestiti proprio come noi e sono tutti ingioiellati, a dimostrare una condizione economica conquistata con mille sacrifici, evidentemente abitano altrove e tornano qui per le ferie. Navighiamo su una grossa imbarcazione ed il mare è calmo, quindi balliamo poco ma ciononostante molti passeggeri, soprattutto i bambini, vomitano a destra e sinistra, chissà cos’hanno mangiato!

Appena sbarcati il grande capo Renzo si dà da fare e ci trova un aluguer ed un autista così bravo che ce lo terremo per i prossimi due giorni. La nostra destinazione, Ribeira Grande, sta dall’altra parte dell’isola oltre una catena di montagne alte oltre 1000 metri, con panorami straordinari, canyon e crateri vulcanici.

Salendo troviamo un ambiente brullo ed inospitale, poi nei punti più alti pini, cedri ed una brezzolina di montagna che proprio non mi aspettavo; infine la discesa a valle ci riserva lo spettacolo bellissimo di agavi, palme e coltivazioni di mele e caffè.


Ribeira Grande è una cittadina di mare con aspetto pulito e curato, sia nella piazza con la chiesa e il municipio sia nelle viuzze, tutto questo ordine suscita la nostra meraviglia.

Purtroppo la bellezza dell’isola contrasta con il clima arido: le piogge sempre più scarse diminuiscono le risorse della terra e ci risiamo coll’emigrazione, un male necessario a cui i giovani si preparano dai tempi della scuola per migliorare le loro condizioni di vita.

Passiamo qui due giornate bellissime, il mio ricordo più vivo è la passeggiata di 12 km il mercoledì di Ferragosto, solo tre di noi mentre il resto del gruppo è impegnato in un trekking in montagna.
Con calma, parlando sempre, io, Elena e Susanna conosciamo i bambini di Sinagoga che giocano a calcio su un campo di pietrisco vulcanico.

Parliamo con Ariana che fa la farmacista nel Connecticut e torna qui per le vacanze estive, andiamo a trovare suo cugino Ildo proprietario del trapiche più antico, uno spremitoio per la canna da zucchero a trazione animale di 400 anni ancora funzionante.


Visitiamo Paùl dove il cimitero digrada sulla spiaggia come per tenere ancora vicino a casa le persone che non ci sono più.

Indugiamo nei paesini sul lungomare rapite dal panorama mutevole dell’oceano che ha plasmato tutta la costa.


Finalmente raggiungiamo Janela, sede della sagra di agosto che attira persone da tutta l’isola, un crogiolo di giovani e vecchi festanti che allestiscono banchetti improvvisati con venditori di cibo fatto in casa, bevande, giocatori di dadi.


È bellissimo, tutto si svolge su uno slargo della strada dove ogni tanto passa un’automobile, senza fretta.

Janela è anche la mia parola preferita in portoghese, vuol dire finestra ed infatti il paese sovrasta la baia in posizione dominante con una vista incredibile sull’oceano blu, che contrasta coll’azzurro limpido del cielo e la schiuma delle onde.

Tutti ballano, cantano e ci salutano, molti di loro ci vogliono parlare in italiano perché hanno lavorato da noi. Che bella gente!
La sera passiamo un paio d’ore proprio qui a Janela, ballando con loro e conoscendo meglio il loro modo, timido e gentile, di provare un approccio senza essere aggressivi o invadenti. Al massimo ci chiedono di fare tiki tiki ma non insistono. In effetti hanno tutti un gran fisico, e una parete dell’ospedale di Paùl è addirittura dipinta con un profilattico disegnato a forma di omino minaccioso e sotto la scritta sem camisinha? não! com camisinha – amor seguro. Ed accanto c’è anche la taglia XL, accidenti come sono vanitosi i capoverdiani!

Ci dispiace ripartire da Santo Antão, ma giovedì inizia il conto alla rovescia per la partenza e gli ultimi due giorni di vacanza devono essere sfruttati, dove sicuramente c’è più vita sia di giorno che di sera: Mindelo ci aspetta.

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