Sabato 09 07 – Infatti, a fronte delle poche ore di sonno oggi stiamo tutto il giorno a bordo di un bel convoglio “old style” che percorre la mitica ferrovia transmongolica. Il treno di oggi si ferma a Sainshand, altre volte prosegue sino a Pechino. Lasciamo il grosso dei bagagli a UB, partiamo con uno zainetto, arriviamo presto alla stazione.

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Compriamo snack (patatine e brodo cinese liofilizzato, da reidratare in acqua bollente) e saliamo sul treno, abbiamo prenotato gli “hard seat” in carrozze simili a quelle delle ferrovie indiane e cinesi, ovvero un concentrato di ergonomia ed efficienza dove ogni centimetro è sfruttato in vari modi.

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Adoro percorrere questi mezzi per tutta la loro lunghezza sbirciando nelle carrozze, scambiando sorrisi e parole. Non ricordo d’aver visto turisti, ci sono centinaia di mongoli che mangiano, dormono, allattano bimbi bellissimi, li cambiano. A ogni fermata le “controllore”, cattivissime, chiudono le toilette costringendomi ad andare nei bagni più lontani, o in quelli degli uomini. Paese che vai, usanza che trovi. I 475 km che separano UB da Sainshand sono coperti alla velocità di 40 km/h con tantissime fermate, sia in uscita dalla città sia in stazioncine di località apparentemente disperse, dove sale e scende gente con bagagli enormi.

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Il viaggio è agevole, senza scossoni e con la possibilità di vedere il paesaggio intorno molto meglio che dal fuoristrada.

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Cantiamo gli Eagles e i Beatles con un simpatico ragazzo che strimpella con la chitarra, poi ci chiede una canzone di Pupo, che in Mongolia è un idolo, e restiamo interdetti. Approfitto per scrivere e aggiornare il diario mentre i miei ragazzi un po’ si annoiano. A Sainshand, su uno Uaz simile al precedente, ci accoglie un nuovo autista che, al contrario di Tsojoo, guida pianissimo. La città finalmente sembra meritare tale nome, con strade e palazzi veri, un’idea di sviluppo intelligente e spazi pubblici, giardini, uffici ecc. adeguati. In effetti le ultime soste del treno ci hanno mostrato che quaggiù, al confine con la Cina, le infrastrutture sono più avanzate che nel resto del Paese. L’autista deve portare un altro gruppo in stazione perciò ci lascia a un chiosco dove prendiamo una birra e facciamo il gioco della bottiglia, scoprendo qualcosa di ciascuno di noi, dopo due settimane passate insieme. Fa buio, impieghiamo 1h per arrivare al camp, che dista circa 20 km dalla città. Il Gobi Sunrise camp purtroppo rappresenta il peggio della Mongolia del futuro, è un “non luogo”, un parco di divertimenti per eventi e gruppi, il contrario di quello che ci aspettavamo per l’ultima notte da passare in una gher. Vi sono due file di tende, “normali” e “di lusso” in muratura, con corde e decorazioni finte, letti matrimoniali, divani eleganti, il bagno interno, ma non funzionano lo sciacquone né alcune luci. Per fare la doccia dobbiamo andare nell’edificio esterno, scassato. Stanno attrezzando nuove gher in muratura, possiamo immaginare quale destino attenda questo adorabile paese nei prossimi anni: il massiccio afflusso di capitali stranieri porterà investimenti in infrastrutture concepite al servizio di turisti facoltosi, ma anche desiderosi di divertirsi per dire “io ci sono stato” senza però curarsi delle conseguenze sugli abitanti e sull’ecosistema. Pensiamo con disappunto che tra qualche anno la Mongolia sarà così.

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