28 ottobre

Sul regionale MI_VE. Appena mi stavo convincendo che prendere il treno lento potesse essere divertente è entrato un controllore brillante a parole quanto arrogante di fatto, una checca isterica che ha redarguito un italiano con il biglietto eurostar (sbagliato) ma senza fargli la multa, per poi accanirsi su una coppia di giovani vietnamiti carinissimi seduti di fronte a me. Pure loro avevano acquistato il biglietto eurostar ma “per errore” hanno preso il regionale. A loro due chissà perché il controllore ha fatto 59 euro di multa a testa per tutta la tratta MI_VE, una cosa allucinante e non condivisibile né nel merito né soprattutto per il metodo utilizzato. Ora sono così dispiaciuta che non riesco a parlare con questi due ragazzi, carini, educati, che stanno finendo così la loro vacanza in Italia.
Poi mi sforzo e ci parlo, vengono da Ho chi Minh, studiano in Finlandia, mi chiedono info su Venezia e commentiamo insieme che il controllore è stato decisamente stronzo. Nel pomeriggio sul bus per Venezia accade lo stesso con un controllore che si accanisce su una signora slava senza biglietto, urla sbraita la umilia, poi scendono in stazione a compilare il verbale e un nordafricano subito dopo afferma spavaldo che lui per definizione non paga MAI il biglietto nemmeno sul treno, e due volte la settimana percorre la tratta VE_MI in treno senza biglietto e preferisce così, rischiare di prendere una multa che tanto gli conviene. Chissà quante persone vivono così ai margini della società e della legalità, ma mi fa male pensare che anche questa, nel suo piccolo, è una ingiustizia e che alla fine pagano sempre gli onesti, per tutti.

12 settembre

Odio i treni, da sempre: siamo due entità incompatibili e per come sono fatta io mi capita di perdere un treno con una certa frequenza. Ad essere sincera nella mia vita ho anche perso un paio di aerei quando ero in America in giro per lavoro, con il conseguente slittamento degli impegni, ma tutto sommato me la sono cavata bene. Tre mesi fa, invece, ho perso una coincidenza da Mosca, ma ero in vacanza e il ritardato arrivo a destinazione, a Ulaan Bataar capitale della Mongolia, mi ha causato soprattutto qualche imbarazzo, ma nessuna modifica sostanziale del viaggio.
In generale trovo difficile correre dietro a un mezzo pubblico che, per definizione, non mi aspetta se sono in ritardo, e io sono una ritardataria cronica, incallita, con poche possibilità di redenzione. Al liceo avrei dovuto prendere l’autobus tutte le mattine per andare dall’altra parte della città. Non so quante volte l’ho perso, costringendo le mie amiche (puntuali) a prendere il bus successivo, o trovandomi sola alla fermata quando non ne potevano più di aspettarmi con la prospettiva a volte di sgambettare a piedi se erano finiti i bus più frequenti, quelli dell’ora di punta.
Quando 25 anni fa dovevo scegliere la facoltà universitaria, decisi di andare a Udine anche in base a un criterio basilare: non volevo fare la pendolare, sapevo di non essere in grado di sostenere l’impegno di prendere due treni al giorno, o altri mezzi pubblici, per raggiungere l’università. A Udine, invece, sarei stata tutta la settimana e avrei preso il treno per gli spostamenti nel weekend. Così è stato, ma ne ho persi tanti, fortunatamente all’epoca ce n’erano abbastanza da non dovere mai attendere troppo per il successivo. Il trucco era di evitare l’ultimo treno della sera come scelta, così da utilizzarlo come soluzione d’emergenza in caso avessi perso il treno giusto. Poi ho iniziato a lavorare e anche lì non ho mai pensato di fare la pendolare, ho avuto l’auto aziendale poi la mia auto personale e mi sono affezionata al mezzo a quattro ruote per gli spostamenti, al bagagliaio e all’abitacolo pieno di inutili cazzate, a utilizzarne gli spazi come deposito così come faccio a casa.
Ma da quando la benzina costa un botto e ho l’esigenza o il desiderio di andare dai miei più spesso che in passato, mi sono rassegnata ad alternare gli spostamenti in auto a poco frequenti ma necessari spostamenti in treno. Fatti due conti, però, nell’era degli eurostar questi mezzi così veloci, efficienti, “orientati al business” non mi convengono, sono troppo cari, mi conviene viaggiare sull’interregionale, o come lo chiamo io “Il Treno Dei Poveri”. Su questi mezzi, lenti e spesso a loro volta in ritardo, viaggia chi per i piccoli spostamenti o per convenienza non può prendere i treni veloci. Di questa umanità, variegata come un gelato all’amarena, fanno parte molti stranieri e per me questo è un valore aggiunto, chiacchiero con piacere, sono compiaciuta della loro presenza e mi interfaccio con loro più volentieri che con gli italiani.
Ora sto scrivendo mentre torno a Milano, un lunedì mattina in cui in molti rientriamo a lavorare. Ho rischiato di perderlo anche per un malinteso, dovevo andare vicino a Lecco per lavoro ma in qualche modo ho fatto saltare la mia presenza con la possibilità di tornarci nei prossimi giorni. Tengo il netbook sulle ginocchia e il trolley davanti a me, sono entrambi bianchi e solo ora ci faccio caso, il primo si chiama bianchino da quando lo comprai in offerta poco più di un anno fa, la seconda è stata un bel regalo da parte di brutte persone di cui spero mi libererò molto presto.
Sono circondata da viaggiatori che parlano italiano con strani accenti o una lingua straniera non sempre correlata alle proprie caratteristiche fisiche. Orizzontale, interrazziale, il treno dei poveri annulla le distanze e le differenze, oggi curiosamente i miei vicini sfoggiano aggeggi tecnologici per comunicare e per lavorare. La domenica sera, invece, sul treno dei poveri viaggiano persone più sfortunate, molti extra comunitari con enormi borse, i turisti del fine settimana, studenti e pendolari come lo ero io, 25 anni fa.
E pensare che questi dovrebbero essere i mezzi che funzionano, permettendo di non inquinare, di non stancarsi, di non intasare le strade. Peccato che a mio avviso non funzionino molto bene anche qui al nord. Un treno al sud? Non ne prendo da oltre 10 anni almeno in Italia, mentre nei miei viaggi lontani cerco sempre almeno una volta il divertimento a bordo di un treno, uno di quei serpentoni colorati che parte da una grande stazione e si ferma tante volte, magari in villaggi sperduti dove scende e sale chi non ha altro mezzo per spostarsi. Qui si vedono persone che trasportano bagagli davvero enormi, che mangiano e dormono durante spostamenti che, a volte, durano alcuni giorni.
Tra due settimane riprenderanno le cene del CIGV, Club Internazionale dei Grandi Viaggiatori al quale sono orgogliosa di appartenere nella delegazione di Milano. In questa prima serata della nuova stagione il tema sarà la Transiberiana. Non posso assolutamente mancare, dopo un assaggio di Transmongolica proprio due mesi fa una lunga traversata in treno verso l’Asia non mi spaventa più, devo solo trovare le persone adatte a condividere questa nuova avventura.

Treviglio, treno in ritardo ma di noi poveri sul treno dei poveri chi si cura? Siamo quasi arrivati a Milano, la pianura sarà presto rimpiazzata dai capannoni, poi dall’area urbana e dall’architettura della stazione di Lambrate. Il treno rallenterà e io chiuderò tutto, il bianchino e la borsetta, con la metro verde tornerò a casa e dopo aver mangiato un boccone mi metterò, anzi mi rimetterò a lavorare. E domani Papiniano, forse, ma questa è un’altra storia.
Post scriptum – scesa dal treno ho fatto un esperimento, una strada nuova, volevo scendere due fermate prima per avvicinarmi a casa da Sant’Ambrogio invece che da Porta Genova. Ma quando ho visto l’insegna del PAM mi sono girata e sono entrata, uscendo con tutto l’occorrente per affrontare una settimana scarsa da sola: carote, cetrioli, cipolle, prosciutto crudo e yogurt. E inizio a lavorare solo ora ma ne è valsa la pena, mi sa che anche per questa settimana Papiniano può attendere.

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