Oggi è prevista la visita di Potsdam in piena marca brandeburghese, l’unica escursione di questo viaggio perché abbiamo capito che Berlino è grande e una settimana basterà solamente per un “assaggio”. Sotto il solito cielo cupo e con un freddo più frizzante dei giorni scorsi, ci dirigiamo 30 km a sud ovest con mezzi sotterranei e di superficie, fino a giungere nei pressi di un grande parco.

L’estenuante ricerca del biglietto più conveniente fa spazientire l’attempata frau alla cassa, attendiamo l’ora esatta per visitare il Castello di Sanssouci in compagnia di una guida che sa l’italiano ma deve svolgere la sua funzione didattica solo nella sua lingua. Così in compagnia di qualche giapponese, francese e spagnolo, (ma la maggioranza siamo noi italiani) entriamo a Sans Souci che significa “senza preoccupazioni”, la dimora realizzata alla metà del XVIII secolo da Federico II il Grande per estraniarsi dalle incombenze di Corte. Noi oggi provvediamo a tenere lucidi i pavimenti con grandi pattine di feltro che ci fanno indossare all’ingresso. Sanssouci è composto da una dozzina di stanze riccamente decorate, con magnifici pavimenti e molti quadri alle pareti, nelle quali l’imperatore appagava i suoi gusti estetici ricevendo artisti e letterati in una sorta di Arcadia, e dove riposa dal 1991. Nell’ultima stanza che visitiamo alloggiò anche l’anima dell’Illuminismo, Voltaire, per fortuna solo dopo la sua partenza fu decorata nel modo infame come la vediamo ora, con pappagalli ed uccelli esotici alla parete (non avrei potuto tollerare tanta effeminatezza in uno spirito razionale!). All’uscita rimiriamo una bella cancellata in ferro battuto verde, Marlygarten, con uno snello portico. Approfittiamo del sole che appare come un miraggio per fare delle foto all’ingresso del palazzo e allo splendido parco, ornato di fontane e statue, dove molti si cimentano nel jogging. Percorriamo il grande viale – giardino per giungere dall’altra parte, al Neues Palais, anche qui visita con guida in tedesco, stesse pattine, varie sale, quadri alle pareti, soliti splendidi pavimenti ma una prima sala “orripilante” per il nostro gusto, con minerali, conchiglie, marmi e sassi alle pareti, tanto da essere definita dallo stesso Federico una “fanfaronade”. In bus rientriamo a Potsdam per una breve visita, ci inoltriamo nell’isola pedonale, una bella strada costellata di negozi e caffè, mentre alcuni decidono di percorrerla fino in fondo per visitare la chiesetta che si intravede gli altri cedono alle lusinghe di un elegante negozio di cibarie e vi si installano. Purtroppo la chiesa è chiusa così optiamo per pranzare in un pub turco dove mangio la solita porzione di carne tedesca, mentre gli altri si fanno tentare dalle specialità locali, aiutati da un meraviglioso vino caldo. Riformato il gruppo, in tram e metro rientriamo a Berlino portandoci a Spandau, che le guide ci descrivono come un bel quartiere da visitare e dove trovare locali caratteristici per mangiare. Appena torniamo all’aria aperta, sono solo le 18 ma è chiaramente notte inoltrata, troviamo il quartiere “meno tedesco” visto finora: le strade sono più strette, non ortogonali e in leggero pendio. Superata una bella chiesetta con la statua di un certo Joaquim II di fianco, entriamo in una piazzetta in pieno clima natalizio, con addobbi sugli alberi e tante bancarelle, dove le attrattive principali sono una finta pista da sci, dei “focheracci” per riprendere contatto con la propria cute, sfilate di salsicce e wurstel emananti dolci aromi. Anche qui è difficile muoverci in 14 e più di qualcuno viene attratto dalla visita ai Grandi Magazzini, per scaldarci e anche perché i prezzi sono molto concorrenziali rispetto ai nostri. Con Alessandro, Marietta, Rosetta e Roberta proviamo a cercare qualche locale caratteristico dove portare a cena il resto della comitiva, ma troviamo solo un ristorantino francese. Alle 18.30, ora del nuovo ritrovo, proponiamo di fare altre 2 fermate di metro per andare alla Zitadelle, tanto rinomata anche per un noto ristorante; vi arriviamo dopo varie traversie tipo strada sbagliata con conseguente ulteriore chilometro sulle già tanto provate gambe, proprie dei “turisti fai da te”. La Zitadelle è un forte costruito alla fine del XVI secolo su un’isoletta del fiume Havel, per merito di architetti militari italiani, che ora ci offre solo un elegante ristorante in cui sta per iniziare una cena medievale con festa. Alla notizia di quanto ci verrebbe a costare cenare qui stasera scoppia la ribellione che covava da tempo e che porta allo scisma, consumato nella metro, fra chi esausto avrebbe accettato, chi vorrebbe provare un altro pub consigliato a 500m, chi vuol abbandonare tutto perché così non stiamo rispettando i patti e altre diverse posizioni. Il compromesso sarebbe tornare a Spandau, 2 fermate prima, ma arrivati alla U-bahn perdiamo le tracce della famigliola e di Anna. Sperando che tornino in pensione sani e salvi ceniamo al ristorante francese intravisto in precedenza, dal nome e dall’arredamento sicuramente ben definito, Bonaparte: infatti vi troneggiano busti e quadri di Napoleone, bandiere francesi alle pareti. Mangio zuppa di cipolle, carne e un pessimo dolce, per fortuna birra e Calvados, che ci stava proprio bene, non mi fanno rimpiangere la parte culinaria della serata.

Anche questa giornata è pesante ma a metà mattina ricevo una chiamata, piacevole quanto insperata, da un’azienda veneta la quale ha letto il curriculum che le ho mandato prima di Natale, e mi vuole incontrare. Hanno tanta fretta che mi chiedono di vederci in questi giorni, ma ci accordiamo per la prima settimana di gennaio 2005. Forse la fine dell’anno segnerà anche un passo avanti nella mia vita professionale, speriamo. Con questo pensiero positivo dormo bene e mi sveglio di buon umore, anzi con un’illuminazione mentale: ricordo finalmente Dickie Wirtin, il nome della spartana osteria dove dodici anni prima avevo cenato con la mia famiglia in una tiepida Pasqua. Il muro era caduto da soli due anni e tutta Berlino, anzi tutta la Germania aveva fretta di seppellire i ricordi del passato e le tante ferite degli anni della guerra fredda. Dickie Wirtin non è distante dalla pensione, e sono molto contenta quando chiedo alla reception di prenotarci un tavolo.

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