In una giornata calda e limpida di primavera cosa c’è di meglio di una bella passeggiata a Venezia, anzi nella Venezia minore solo perché non è ipertrofica come i turisti nei percorsi mordi e fuggi in centro storico? Io arrivo tardi, è festa anche per me e per mettermi in carreggiata impiego più tempo del solito. Sul vaporetto, circondata dai sopra citati turisti che a volte vorrei gettare in acqua che tanto chissà se a loro Venezia interessa davvero, scopro che su un telefono in dotazione posso scaricare quanto necessario per contattare gli organizzatori, da tempo già a passeggio proprio alla Giudecca. Cip cip, li sento in 140 caratteri, mi dicono di essere nientepopodimeno che alle Zitelle. Vi sono ben tre fermate del vaporetto alla Giudecca: Palanca, Redentore, Zitelle. Quest’ultima è la mia fermata, non c’è che dire.

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Sono tre, pochi ma buoni, Elena Alvise e Cristina (forse) dopo avere visto la mostra di Gianni Berengo Gardin nei so called tre oci (three eyes, tre occhi) …

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mi aspettano nella prima chicca, un boutique hotel che potrebbe essere ovunque ma sta bene pure qui, così ben frequentato che ne traspare solo il lusso, l’eleganza, l’intimità e la silenziosità.

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Gli ospiti sono coccolati dal gentilissimo personale, incluso colui che dopo una breve spiegazione ci apre le porte e ce lo descrive. Parliamo piano, ovunque ci si regola sul tono di voce più basso, potremmo conversare anche in centinaia ma nessuno parla sopra l’altro, che bello!

Una piccola corte chiusa da un cancello si apre, il padrone vorrebbe uscire, gli chiediamo gentilmente di autorizzare una breve visita con foto ed egli è così compiaciuto da farci da cicerone.

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Ci accompagna dentro (erbe aromatiche, statue, fiori, un’elegante bellezza e l’estrema cura dei particolari) con l’elencazione degli abitanti, incluso uno dei miei cantanti british preferiti che purtroppo non c’è.

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Ci porta fuori “tanto devo proprio andare nel giardino dove andate voi” e con passo spedito continua a raccontarci che, nonostante sia nato in Sicilia, si sente un perfetto veneziano acquisito: qui è vissuto sin da piccolo e qui ha sempre lavorato. Quante ne avrà viste?

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Li seguo con fatica cercando di fare foto, che bello passeggiare alla Giudecca con le sue calli, i passanti, gli abitanti, persone di tutte le età che sfilano tranquille, lontane dal trambusto e dal consumismo del centro storico!

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Che bellissima luce filtra di traverso tra i panni stesi, nei riflessi del bacino San Marco sulle vetrate degli edifici, tra i fiori sbocciati in questa primavera che si è palesata all’improvviso solo pochi giorni fa!

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Che lusso nei ristoranti degli chef veneziani più famosi, che qui si sono disposti in fila per accogliere banchetti ed eventi esclusivi! I nomi di calli, campielli e sotoporteghi (no need to translate) sono estremamente veneziani ed evocativi: calle de le more come le zitelle sarebbe sempre per me, in attesa che la canuzie abbia ahimè il sopravvento.

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Sostiamo un attimo a ricordare che oggi è la festa della liberazione, c’è una targa intitolata proprio al 25 aprile corredata da una corona, e subito dopo un banchetto di un circolo con l’effigie di Pertini. Sandro dove sei?

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Occhio che dall’altro lato hanno dovuto metterci Napolitano, mah meglio che non dica nulla! Che meraviglia il piccolo giardino urbano collocato oltre le case popolari, dal lato della laguna.

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Ci sono anche i tavolini per il picnic e i giochi per bambini, una coppia seduta su una panchina legge i due principali quotidiani italiani. Proviamo a spiegare che le nostre invasioni digitali servono a ecc ecc e pubblicheremo sui social network le nostre foto. Non ci provate! Inveisce il signore distinto con faccia inorridita. Ok volevamo solo spiegarle, e subito ci allontaniamo.

Pure noi facciamo una piccola sosta seduti su una panchina, chiacchieriamo e chiudiamo il cerchio, passando da una conoscenza virtuale alla conoscenza reale, l’altra funzione virtuosa dei social network. Foto di (piccolo) gruppo e via, ci separiamo dopo un caffè dandoci appuntamento se possibile alla invasione seguente, che si terrà a fine giornata nella vicina Treviso. Io vorrei vedere un’amica del Lido che dovrebbe essere in giro e ciondolo un’oretta nella vana attesa che questa risponda alle mie chiamate. Poco male, prima di riprendere la strada per il vaporetto rifaccio tutto il percorso e oltre, vedo finalmente da vicino quello che un tempo era il Mulino Stucky, ora trasformato in un Hilton hotel, una location di lusso (mah) dove però poco oltre i percorsi canonici abbondano disordine e sporcizia (doppio mah).

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E l’ostello della gioventù, in perenne restauro, peccato che io non abbia molte scuse per dormirci, sarebbe un’interessante esperienza.

Cerco l’entrata alla chiesa di Sant’Eufemia in restauro ma trovo solo porte chiuse.

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Ripasso davanti alla chiesa del Redentore, che al terzo sabato di luglio ogni anno diventa la destinazione di veneziani devoti, prima in fila sul ponte di barche e poi in chiesa, a ricordare e ringraziare… non era per la fine della peste? Ma la vicina, dirimpettaia chiesa della Salute non aveva la stessa funzione?

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Redentore uguale Andrea Palladio, l’architetto / non architetto del 500 che avevo studiato a scuola e che ora sto riscoprendo grazie alle deliziose amiche blogger che frequento dall’inizio di quest’anno. Questa chiesa è passata con le sue contraddizioni e un prematuro melting pot di generi (il doppio campanile per esempio), mentre il progetto palladiano per il ponte di Rialto è stato bocciato. Bellissimo il modellino, antesignano di nuovi modi di costruire e troppo avanti per l’epoca. Peccato! E oltre ci sarebbe l’altro gioiello del Palladio, la chiesa di San Giorgio Maggiore ora sede della fondazione Cini, ma fra me e lei c’è la finanza, insormontabile.

Torno indietro e cerco un vaporetto, prima mi serve un bar o tabaccaio che dovrebbe vendermi i biglietti giusti, ho infatti solo i biglietti sbagliati che già prima non sono riuscita a timbrare, eppure, strano ma vero, non trovo nulla: né tabaccai aperti né fermate del vaporetto con personale presente. Che scandalo: in questi giorni festivi o ci si munisce di titolo di viaggio a una grossa fermata, con le prevedibili code e lo schiamazzo dei turisti mordi e fuggi, oppure qui si è spacciati. Uso così dei vecchi biglietti che valgono il doppio della corsa che mi accingo a fare, ma tant’è. Cinguetto nuovamente invece di ammirare lo splendido panorama del Canal Grande, che a metà pomeriggio è sempre più bello, e lentamente raggiungo la stazione di Santa Lucia. Niente auto niente smog, oggi le mie invasioni saranno a impatto zero. Siedo vicino a tre donne di colore che parlano uno splendido patois dell’Africa occidentale, infarcito di termini francesi e arabi, come al solito non trattengo la domanda che porgo col mio sorriso più gentile: scusate, potrei sapere di dove siete? Paris! Rispondono sorridendo, dandomi la stessa risposta spiazzante di una coppia di chiare origini indiane, che incontrai a una degustazione alla Rinascente a Milano, un paio di anni addietro. La loro risposta fu la meno scontata: Switzerland! Fine del discorso. E fine di questo breve viaggio.

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