Olbia – Costa Smeralda è un’associazione che sta scritta nei tabelloni attorno all’aeroporto, persino il paio di pubblici esercizi nello scalo è fighetto come piace ai suoi ospiti. Peccato che io non ne subisca il fascino, o meglio se avrò l’opportunità di andare in Costa Smeralda son sicura che mi piacerà (così come mi piace Cortina), solo non ne ho voglia. Attendo l’occasione, intanto mi godo il vento caldo che ci spinge all’autonoleggio, all’una, a ritirare la panda e uscire, dopo esserci cambiate nel parcheggio.

Maglietta e via, si parte. Ma dove sono i cartelli per Tempio? Guido con un navigatore umano sicuro e collaudato, ma nessun cartello vi fa riferimento. Provo a guardare le ombre del sole, a quest’ora quasi inesistenti, e percorriamo oltre 10 km girando intorno prima di capire da che parte andare. Google maps è confuso quanto noi e decide di sviarci più volte dal percorso così, invece dei 40 km di normale distanza Olbia – Tempio, ne facciamo il doppio. Poco male, ci fermiamo a mangiare un toast a Sant’Antonio di Gallura, un’oasi di pace vicinissima a Palau e ai rutilanti centri turistici sul mare, tutto pulito silenzioso e ordinato.

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Se avessi i soldi ci comprerei casa, davvero.

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Berchidda sarebbe un’altra bella deviazione “musicale” grazie a Paolo Fresu, ma non è il caso di fermarci adesso. Cerchiamo poi il lago del Liscia presso l’omonima diga, tutto sinuoso e coperto da numerosi scheletri d’albero come si conviene ai bacini artificiali costruiti per l’approvvigionamento idrico.

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Indugiamo presso gli olivastri millenari senza vederli, il biglietto d’ingresso ci inquieta un po’ ma poi parlandone con le brave guardiane ne capiamo la logica. In sette mesi raccolgono 50.000 euro a suon di biglietti da 2,5 euro, ottimi per la manutenzione degli alberi e pagare il personale. Liscia resort è l’inquietante cartello che campeggia dall’altra parte della strada, al mio ritorno scopro che è una società con la sede dalle mie parti, non mi suona bene. Una cava di granito costruisce sagome di pietra squadrata che sembrano mura antiche e solide, mentre il morbido vello delle pecore al pascolo mi fa sentire dove sono. Sardegna. Sardegna, ripeto dentro di me annusando l’aria che sa di macchia mediterranea.

Dov’è il pastore, il mio ultimo sogno di uomo ideale come ripeto per scherzo da tempo? Niente, il pastore non si palesa ma un cartello sgarrupato ci svia giù per uno sterratino in cerca di formaggio. Pecorino a varia stagionatura e miele amaro di corbezzolo ci vengono presentati da una signora schiva, che forse abbiamo svegliato durante il pisolino.

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Assaggiamo, acquistiamo e proseguiamo fino a Tempio, circondate da diverse cantine invitanti, ben curate come le vigne basse ormai spogliate dai grappoli. Ce ne saranno altre no? Non fermiamoci. Anche i sugherifici tradiscono la vocazione del territorio che si gioca su queste poche, redditizie colture.

Luras, il paese dei dolmen, ha abbastanza cartelli da portarci direttamente a vedere queste opere misteriose ed emozionanti, immerse nella campagna.

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Se ne trovano a corridoio e a tholos, le antiche civiltà prenuragiche sono affascinantissime anche se sono ricordi (indelebili) di storia dell’arte, studi di quasi 30 anni fa.

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Tempio Pausania ci attrae nel nome anche se non ne so nulla, imparo solo spizzichi di storia locale, un concitato susseguirsi di conquiste e cessioni da almeno 2.000 anni prima di Cristo proseguito quasi fino ad oggi, uno dei motivi della nobiltà e rigore che percepisco nel corso della breve visita odierna.

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Le info turistiche reperibili presso la bellissima Cattedrale sono esaurienti ma il bello della città si gode passeggiando nel centro: corso Matteotti, piazza d’Italia, parco delle Rimembranze, Fonte nuova e fonti di Rinaggiu.

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Il rigore degli edifici costruiti in granito scuro, solo in parte sostituiti con intonaci colorati, contrasta con il verde delle fonti e dei viali alberati che mostrano, oltre la vallata, verdi colline e montagne. Molti negozi sono chiusi e mi accontento di fotografarli: i panifici per esempio aprono solo al mattino fino alle 13, peccato!

Dobbiamo tornare a Olbia a prendere l’amica che atterra sulle 22, stavolta la strada è diretta e breve ma niente cantine, solo sugherete che dopo un po’, francamente, mi scocciano. Facciamo due passi in centro, bellino ma forse non ne vediamo il meglio, troviamo un ristorantino un po’ defilato e dopo cena, con calma, attendiamo il volo fuori dallo scalo. Io faccio un pisolo e appena arriva ripartiamo, nel buio ventre dell’isola, alla volta di Palau dove un veloce traghetto ci porta oltre, sull’isola nell’isola.

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