Leggete con calma questo lungo post con un tono dolceamaro, una storia e un finale nostalgici.

La canzone da ascoltare oggi è Wonderlust king dall’album Super Taranta! dei Gogol Bordello (2007).

Gogol Bordello vuol dire energia e suoni balcanici, moderni e pieni di vita, proprio quello di cui ha bisogno la Bosnia per guardare avanti dopo gli anni infernali della guerra. La guerra è ovunque e ce lo ricorda la scritta in rosso che ci accoglie al nostro ingresso, assieme alla chiamata del muezzin nella moschea del paese. Immagini e suoni. Never forget Srebrenica 11th july 1995. Continuo a postare questa foto e non è nemmeno l’unica, perché la data del massacro non si dimentichi e non si smetta di chiedere giustizia.

Altrimenti i suoi 8000 morti saranno sempre di serie B. Come le vittime di Sabra e Chatila in Palestina. Come i musulmani a Hama in Siria. Chi parla di questi figli di un dio minore? Chi chiede ai superstiti, ai loro parenti e amici, come si vive dopo che le loro famiglie sono state distrutte e che abbiamo cancellato le loro vite a colpi di arma da fuoco? Carnefici occidentali come noi che dovevamo vegliare su di loro? Queste persone hanno poche colpe tra cui appartenere a un gruppo etnico, a una religione malvista perché così qualcuno ha deciso. Non ci sto. Andiamo in Bosnia e vediamo quanto è bella.

Dell’obbrobrio di Medjugorje ho scritto tempo fa. Nonostante i miei amici cattolici praticanti la considerino un’oasi di pace cristiana in una terra secondo loro popolata da persone cattive (già, la carità) io conservo un ricordo inquieto e allucinato di questa strana enclave cristiana, con l’idea che questo modo di vivere la religione porti solo cattivi frutti. Ci sarebbero tanti motivi per arrabbiarsi, io ho subito sfogato la mia rabbia sui colpevoli dei massacri, impuniti e a volte scorrazzanti liberi ma ne sentivo il bisogno. Ora però mi concentro sulla bellezza selvaggia e sconvolgente di questa terra sfortunata che ho appena sfiorato in Explorebalkans.

20160422_102059

Una terra di scontri e ora d’incontri dove io e Simonetta incontriamo inaspettatamente Paola, italiana che vive qui e ha abbracciato la causa della tutela ambientale con forza e coraggio, a volte con le istituzioni al suo fianco, a volte sola, andando incontro a mille ostacoli e difficoltà. Ma Paola è una donna abbastanza tosta da proseguire sulla sua strada fino a proporre di venire qui in cammino, sulla Via Retica per esempio, o in marcia fino a Srebrenica a luglio per l’anniversario della strage. Io ci tornerei. Andiamo?

Dove andiamo noi non lo sappiamo quando venerdì mattina partiamo da Plitvice. Secondo il mio programma dall’ingresso in Bosnia dovremmo percorrere circa 300 km fino alla nostra destinazione Sarajevo, un’altra città che trasuda ricordi di guerre, plurale, addirittura da cent’anni. Per le sei ore di viaggio previste più le soste ci possiamo permettere di fermarci solo alla fine.

Jaice e Travnik mi sono state consigliate come due città affascinanti e mete imperdibili.

Il potere dei social, con foto “molto balcaniche” e per me evocative, mi convince. Simo si fida ciecamente, grande amica, qualsiasi cosa dica risponde sì va bene. Quante altre amiche dovrebbero imparare da lei…

Il potere dei social, Paola intercetta le mie foto di Plitvice su Instagram e mi scrive…

P Ehi come siamo vicine!

R Siamo a Plitvice e domani andiamo a Sarajevo.

P Io sto appena dopo la frontiera a Bihac, 50 km da voi. Domani scendiamo in kayak sul fiume Buna, a Martin Brod nel parco nazionale di Una. Ci raggiungete?

R chiedo ma mi sembra una gran buona idea.

Plitvice è stato un pieno di natura per noi, perché non provare qualcosa di simile in un altro stato? Fatta. Segue lo scambio concitato di messaggi che si conviene a queste belle combinazioni. Simo apprezza proprio la nostra libertà di fare e disfare, che solo un viaggio in auto dà. Ora scrivo a un mese di distanza, seduta su un treno che mi sta portando verso la Basilicata in un viaggio slow di cui ho molto bisogno ma con ritmi totalmente diversi. Uno così uno colà, what next?

Passiamo la frontiera con qualche brivido. Simo non trova il passaporto, io la carta verde che non mi hanno mai chiesto fino ad oggi ma fan bene! Se non la trovo devo rifarla alla modica cifra di 30 euro. Eccola! Tiro un sospiro di sollievo, la Simo sorride guardando l’ennesimo timbro sul suo passaporto consunto e possiamo ripartire.

20160422_092452

Siamo finalmente in Bosnia, dove tutto cambia. Le morbide colline dell’interno della Croazia diventano asciutte, le montagne aspre, i villaggi un po’ sgarrupati ma non meno belli. Nel ping pong di immagini e sensazioni che sto descrivendo qui ho parlato dell’accoglienza in Bosnia, Paese a maggioranza musulmana. L’accoglienza della natura è un abbraccio, tutto giocato sui toni del giallo e verde come si conviene a un luogo intatto, in primavera pieno di luce.

Non è facile arrivare a Martin Brod “il guado di Marta” e c’è pure qualche chilometro di sterrato. Come narra la leggenda esso è stato teatro di una storia d’amore finita male che mi ricorda la tragedia dello scorso Natale, quando una coppia di amici blogger è stata separata per sempre da un destino crudele. Tutti i miei amici sanno che ora Marta e Leonardo, il bimbo che portava in grembo, sono volati in cielo e qui con noi c’è solo Christian a percorrere l’Italia nel loro ricordo. La leggenda narra che una ragazza di nome Marta si fosse innamorata di un soldato e, per andare a trovarlo dall’altra parte del fiume, annegò proprio qui al guado di Marta, appunto Martin Brod. Oggi immergersi in queste acque dovrebbe essere di buon auspicio per le donne che desiderano avere un figlio, una storia pazzesca se confrontata alla realtà dei miei amici di oggi.

Al nostro arrivo siamo accolti da un gruppo di pescatori che praticano il flyfishing, la pesca alla mosca, con bellissime immagini e tante auto diverse. Ci sono i mezzi moderni adatti a trainare kayak e altre attrezzature ma altro attrae la mia attenzione…

20160422_120301

Una vecchia auto gialla ci accompagna letteralmente all’ingresso del paese: nonostante il suo vecchio autista parli bosniaco, lingua che non capisco, ci capiamo. Body language e sorrisi sono sufficienti. Simo sorride e mi fotografa durante questa bella conversazione poi la ritroviamo parcheggiata sotto un albero. La fotografo pure io e quando la posto su Instagram si dimostra la più cliccata raggiungendo il modesto obiettivo di 100 mi piace, nulla in confronto agli insta – amici con molti K ma mi va bene così. Zastava c’è scritto sul cofano, è la 500 che si faceva in Jugoslavia ai tempi di Tito quando il Paese era tenuto unito da ideali non sempre condivisi, ma sufficienti a stare insieme e avere tutti un poco per vivere. Parlo della dittatura a quante più persone possibile, dicono che allora si stava meglio. Anche i giovani di 20 – 30 anni che non hanno conosciuto Tito di persona ne sentono parlare bene dai più grandi. La sua eredità è stata dissipata nel sangue da chi, dentro e fuori di qua, ha voluto creare gli Stati indipendenti di oggi. Si stava meglio quando si stava peggio. La morale, per triste che possa sembrare, è ancora questa. Anche i cubani, in una situazione storica diversa e nell’attuale isolamento, raccontano allo stesso modo l’evoluzione (per loro non conclusa) di Cuba.

Paola e gli altri (ritardatari per nostra fortuna) sono in arrivo per manifestare affinché il parco nazionale non sia tagliato in due da una diga che vorrebbero costruire, tanto per cambiare… i cinesi! La risorsa acqua, l’oro blu del nostro futuro, è troppo importante per non fare gola: ne ha bisogno l’ambiente evidentemente, ma ne abbiamo anche bisogno per uso umano e per trarne energia. Le concessioni si pagano care, le autorità governative usano questi soldi per ricattare gli abitanti e convincerli che essi farebbero bene a tutti. Più a sud altri fiumi son già stati imbrigliati ad uso di centrali elettriche, noi vedremo una sola piccola diga al confine Bosnia – Serbia ma ce ne sono altre.

20160422_114529
20160422_115018

Da più di dieci anni Paola e i suoi intrepidi amici lottano per mantenere integro il parco. La diga non solo sarebbe una ferita insanabile per l’ambiente ma distruggerebbe per sempre questo luogo unico, isolato, di una bellezza rara, dove si alterna il silenzio di boschi intatti al rumore di cascate impetuose.

Noi stiamo dapprima sulla sponda sinistra del fiume, dove esso ha scavato la roccia formando un canyon sempre più profondo. Saliamo brevemente un sentierino circondati da alberi, arbusti e fiori di tutti i colori, attraversiamo una galleria costruita negli anni Sessanta e appena dovremmo inerpicarci io chiedo di tornare indietro al paese.

Situato sulla sponda destra del fiume Martin Brod è un luogo ameno da visitare. Ha un bel centro storico, un imponente castello e su dove andiamo noi, a vedere le cascate, c’è un interessante piccolo villaggio.

20160422_120124

Qui in passato si lavoravano la lana e i cereali, il vecchio mulino rimane, il mugnaio purtroppo è morto pochi anni fa. Alcune case son diroccate, altre sono ancora abitate. Paola sta coinvolgendo gli abitanti affinché offrano ospitalità ai visitatori. Viandanti o pellegrini, tutta bella gente che viene qui a camminare al cospetto di questi scenari naturali bellissimi e integri.

Salutiamo infine le autorità e i simpatizzanti che si sono uniti in questa civilissima protesta, muniti di cartelloni semplici da capire e dal profondo significato, beviamo un caffè bosniaco e a malincuore ripartiamo.

Che orario abbiamo fatto? Tardissimo! Abbiamo tutte le sei ore di strada davanti e sono già le 13, mangiare mele e taralli in auto non è un problema ma non possiamo quasi più fermarci. Spero di tornare e soprattutto speriamo che questi bellissimi posti siano tutelati e salvaguardati!

Ti è piaciuto questo post su #Explorebalkans ? Allora leggi anche gli altri, li trovi qui:

Inoltre vi consiglio di leggere...

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. Required fields are marked *